Gli studenti attori della sede di Brescia in un selfie allo specchio nel camerino del Santa ChiaraRaccontare un’esperienza unica come quella del laboratorio di drammaturgia latina, capace di sconvolgere, turbare, così intensa e così invasiva, non è facile, ma vale la pena provarci.

Partiamo dall’ultimo “atto”. Il 7 Giugno al Teatro Santa Chiara di Brescia è andato in scena lo spettacolo “Hecyra”, tratto dall’omonima commedia di Terenzio. Non serve ripercorrere la trama della commedia: è più importante raccontare come un gruppo esordiente di universitari sia giunto a calcare il palcoscenico.

Teatro è un’idea. È un progetto che vuole rinnovare la cultura antica, sottrarla ai banchi, alle biblioteche, portarla alla gente, far vedere quanto sia viva e concretamente sappia trasmettere emozioni. 

Teatro sono le persone. Un’idea non sarebbe nulla, senza uomini che credano in essa. Il seme di quest’esperienza è stato piantato da Massimo Rivoltella, docente della cattedra di Letteratura Latina alla sede di Brescia dell’Università Cattolica, e si concretizza con il lavoro di Stefano Rovelli, attore dell’associazione Kèrkis di Milano e cultore della materia di lingua e letteratura latina a Brescia, e di Chiara Pizzatti, laureanda di Lettere e assistente alla regia del Centro teatrale bresciano (Ctb)

Costruita la testa del progetto, mancava solamente il corpo: gli attori con la loro energia e il loro entusiasmo. Nove giovani universitari si sono offerti per questa nuova esperienza. Una mattina di fine febbraio nello spazio Dams l’Hecyra di Terenzio ha iniziato a prendere forma.

Teatro è lavoro. È riuscire a far emergere il proprio “Io”, è amplificare la gestualità, il livello della voce, significa calibrare la potenza di uno sguardo, modellare il nostro corpo come creta. Per quattro mesi sotto la guida di Stefano e Chiara ci siamo letteralmente “messi in gioco”. Abbiamo sudato, correndo scalzi sul palco per assaggiarne l’essenza. Abbiamo urlato, riso, cambiato espressione, improvvisato situazioni assurde per sbloccare i nostri sensi e lasciare ogni paura. Ci siamo trasformati lentamente e inconsapevolmente in attori.

Teatro è trasformazione. Nel momento in cui abbiamo iniziato ad approcciarci al personaggio, in ognuno di noi è avvenuta una lenta metamorfosi, siamo usciti da noi stessi.

Teatro è studio. Con dedizione si è imparato il copione, tradotto, riadattato e ridotto da Stefano. Si sono creati gli atti, i tempi comici e tragici, le musiche.

Teatro è legame. Non riesco ancora a capacitarmi di come possano essersi creati legami così forti e stabili in un periodo di tempo così limitato. Amicizie del genere si cementano solitamente in anni di frequentazioni.

Teatro è possibilità. È la fortuna di trovare un teatro disposto ad accogliere una compagnia sconosciuta e, per ora, senza nome.
 
Teatro è tensione. È il cuore a mille dietro le quinte, le mani che sudano freddo, le voci in lontananza, la platea che si sta riempiendo. È l’attimo prima dell’ignoto. Andrà bene? Andrà male? Non importa. Arrivato sull’orlo del trampolino, bisogna tuffarsi. È la prima parola che rompe il silenzio davanti a centinaia di occhi sbarrati attenti ad ascoltare e osservare. È il gesto che fa scattare la prima risata. È l’applauso, la fiducia che sta andando tutto bene. È il finale, il sorriso, gli inchini, i ringraziamenti.

Quella che era una semplice idea è diventata una bellissima realtà, la nostra realtà, che vuole rinnovarsi e continuare a crescere anche negli anni a venire.