In vista dell’evento internazionale “Dio Oggi. Con Lui o senza di Lui tutto cambia”, che si terrà a Roma dal 10 al 12 dicembre, il cardinal Camillo Ruini riflette sulle implicazioni del rapporto tra Dio e società contemporanea. Il testo è pubblicato sull’ultimo numero (5/2009) del bimestrale culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. All’evento, promosso dal Comitato per il progetto culturale della Cei con il patrocinio del Comune di Roma, prenderanno parte, oltre al magnifico rettore professor Lorenzo Ornaghi, diversi docenti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, tra i quali: Francesco Botturi, Aldo Grasso, Michele Lenoci ed Eugenia Scabini.

di Camillo Ruini

Nella Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica del 10 marzo 2009 Benedetto XVI scrive: «Nel nostro tempo, in cui in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine (cfr. Gv 13,1) – in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più». Ho scelto di cominciare con questa lunga citazione perché essa chiarisce con grande precisione ed efficacia i motivi che hanno spinto il Comitato per il Progetto culturale della Cei a dar vita a un Evento internazionale totalmente dedicato al tema di Dio (Dio oggi. Con lui o senza di lui cambia tutto, Roma, 10-12 dicembre 2009) e illustra molto bene il senso e lo scopo di questo Evento.

Una diagnosi del nostro tempo che paventi la scomparsa di Dio dall’orizzonte degli uomini può apparire troppo pessimistica, quando si parla – non senza buone ragioni – di risveglio religioso e di tramonto dell’idea della secolarizzazione come esito inevitabile della modernità. Se però la nostra attenzione si focalizza sugli orientamenti culturali oggi prevalenti, osserviamo una forte divergenza rispetto alla crescita del ruolo delle grandi religioni sulla scena pubblica e alla stessa ripresa del senso religioso in Occidente. Da molto tempo infatti, e in maniera sempre più radicale, il panorama culturale appare segnato dalla tendenza a ricondurre Dio a un prodotto della nostra mente: così l’ateismo ha messo radici profonde ed è sfociato nel nichilismo, con la caduta di tutti i valori e di tutte le certezze. Per parte sua, la leadership culturale progressivamente assunta dalle scienze empiriche negli ultimi decenni è spesso accompagnata, pur senza alcuna reale giustificazione scientifica, dall’affermarsi di una “metafisica” evoluzionistica che riduce tutto alla natura, cioè alla materia energia, al caso e alla necessità, non lasciando spazio perciò né a Dio né all’uomo in quanto soggetto. Ancora più diffusa è la tendenza a identificare ciò che è propriamente razionale con ciò che può essere oggetto delle scienze, con la conseguenza che Dio non sarebbe conoscibile razionalmente.

È certamente vero che le posizioni ateistiche o agnostiche non sono mai rimaste senza vigorose risposte, le quali però non sono riuscite a invertire gli orientamenti prevalenti: specialmente nella seconda metà dell’ultimo secolo queste risposte sembrano anzi essere divenute più rare e più incerte. È interessante osservare come si sono mossi al riguardo coloro che, per vocazione e vorrei dire per professione, hanno il compito di proporre Dio nel contesto culturale del proprio

tempo, cioè in concreto i teologi. Schematizzando al massimo si possono individuare due orientamenti principali. Il primo è quello a lungo prevalente in ambito cattolico ed espresso dalla teologia neoscolastica: esso ha percepito acutamente la radicalità della sfida posta dall’ateismo moderno e vi ha reagito con una critica penetrante e non di rado lungimirante. I suoi limiti sono stati una sottovalutazione della distanza storica che separa san Tommaso e tutta la grande scolastica dal nostro tempo e un insufficiente apprezzamento dei grandi sviluppi, teoretici e pratici, realizzatisi attraverso i secoli: la svolta sancita anche a livello del magistero ecclesiastico dal Concilio Vaticano II, con la ricerca di un dialogo e di un terreno d’incontro, ha comportato perciò la fine del predominio della neoscolastica. Possiamo aggiungere che è sostanzialmente fallito il tentativo di dimostrare la verità delle premesse del cristianesimo mediante una ragione rigorosamente indipendente dalla fede: la questione di Dio infatti, come quella dell’uomo, riguarda e coinvolge inevitabilmente noi stessi, il senso e la direzione della nostra vita, e pertanto, pur richiedendo tutto il rigore e le capacità critiche della nostra intelligenza, non può essere decisa indipendentemente dalle scelte secondo le quali indirizziamo la nostra esistenza.

Il secondo orientamento, affermatosi anzitutto in area protestante ma ampiamente accolto nella teologia cattolica prima e dopo il Vaticano II, viene denominato “teologia kérygmatica” perché punta essenzialmente sull’annuncio della ricchezza e bellezza del mistero cristiano, come mistero della nostra salvezza. Si sono compiuti così un prezioso ricupero e una valorizzazione delle fonti bibliche, patristiche e liturgiche, ma forse non è stata presa abbastanza sul serio la radicalità della critica che la ragione moderna e contemporanea e la libertà intesa come emancipazione da qualsiasi vincolo pongono ai fondamenti stessi della verità del cristianesimo, a cominciare dall’esistenza di Dio. In particolare la posizione di Karl Barth, che presenta la fede come puro paradosso, che può sussistere soltanto in totale indipendenza dalla ragione, si espone facilmente alla replica che ciò che è gratuitamente affermato può essere altrettanto gratuitamente negato.

Negli ultimi decenni molti teologi hanno pertanto cercato strade nuove e più adeguate a proporre la fede cristiana nei vari contesti socio- culturali del nostro tempo, ormai non più eurocentrico. Le loro strade si sono quindi diversificate in rapporto alla differenza dei contesti: alcune proposte teologiche, come la teologia della liberazione latino-americana e la cosiddetta “teologia delle religioni”, di matrice soprattutto asiatica, non hanno ritenuto centrale il tema dell’esistenza di Dio, che in quei contesti non è messo in questione, almeno per ora, come nella cultura europea. In Europa, e più ampiamente in Occidente, la teologia ha cercato in vario modo di entrare in dialogo con la ragione critica e la ricerca di libertà, al fine di aprirle, per così dire,“ dall’interno”, e di assumere dentro la fede cristiana i valori che esse contengono. Questi tentativi, ampiamente giustificati nel loro intento di fondo, sono stati però spesso condotti a scapito di quel solido ancoraggio nella fede senza il quale ogni teologia cristiana perde senso e consistenza. Così, perfino riguardo alla questione di Dio, non sono mancati atteggiamenti deboli e confusi. Con il passare degli anni, tuttavia, molte posizioni si sono decantate e attualmente Dio sta ritornando al centro del discorso teologico, in un dialogo con le istanze critiche della cultura contemporanea che vuol essere serio e sincero, ma non indebitamente arrendevole.

L’Evento internazionale in programma per dicembre s’inserisce in questo percorso. Non sarà però esclusivamente teologico, bensì decisamente interdisciplinare. Ciò anzitutto nel senso di una sinergia profonda, riguardo al tema di Dio, tra teologia e filosofia, pur nel rispetto

della loro distinzione reciproca. Ma anche nella prospettiva di un concreto rapporto della questione di Dio con le problematiche cosmologiche e antropologiche, quali si presentano oggi alla luce degli sviluppi scientifici. L’approccio a Dio sarà inoltre sviluppato al di fuori di ogni ristrettezza razionalistica: vi troveranno spazio le varie espressioni dello spirito umano, dall’arte alla musica alla poesia, fino al cinema e alla televisione, e a titolo speciale le religioni, nelle quali si è concretizzato storicamente il rapporto dell’uomo con Dio.

Pertanto, come appare già dalla citazione di Benedetto XVI con cui ho iniziato questo scritto, non ci occuperemo di Dio in modo soltanto generico, ma in rapporto al Dio personale, anzi al Dio che concretamente ci interpella e si rivolge a noi. Non ci nasconderemo dunque dietro una neutralità di facciata: al contrario, pur dando spazio a voci anche molto diverse, l’Evento ha la chiara finalità di proporre, nel contesto di oggi, il Dio di Gesù Cristo. Sarà data grande attenzione al significato decisivo che ha l’accoglienza di questo Dio, per la nostra vita come anche per la nostra visione del mondo. Di qui il sottotitolo dell’Evento: “Con lui o senza di lui cambia tutto”. Il discorso non potrà però arrestarsi qui: dovrà affrontare in maniera diretta, superando i molteplici veti presenti nella nostra cultura, la questione della realtà di questo Dio, senza la quale ogni apprezzamento del suo significato per noi rimane inevitabilmente sospeso nel vuoto. Ciò non vuol dire ricadere in un approccio razionalistico che manchi del senso del mistero e che pretenda di esaurire razionalmente la questione dell’esistenza di Dio: come ha scritto l’allora cardinale Ratzinger, l’accettazione di Dio «esige da parte nostra di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell’ascolto umile» (L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Roma-Siena 2005, p. 123). I modi in cui Dio si fa strada nel mondo degli uomini sono certo infinitamente più ricchi, misteriosi e molteplici delle vie che passano attraverso la cultura riflessa e ne abbiamo, come già accennavo, una conferma anche oggi nel risveglio religioso in atto nonostante tutte le difficoltà che provengono dalla cultura diffusa in Occidente. Non possiamo pensare però che il peso culturale acquisito dall’ateismo e dall’agnosticismo non abbia conseguenze sull’apertura a Dio di coloro che vivono in quella società e respirano quella cultura: anche di ciò abbiamo conferme eloquenti che emergono dai comportamenti concreti di molti. L’emarginazione di Dio dalla cultura prevalente può inoltre esercitare un influsso negativo anche tra coloro che vi reagiscono, portandoli a rinchiudersi in un orizzonte ristretto e a ritenere, almeno implicitamente, che la fede in Dio richieda il distacco dal proprio tempo.

Un’ulteriore considerazione rende ancora più evidente la portata del confronto culturale riguardo a Dio. Quanto meno per gli aspetti della razionalità scientifico-tecnologica, e per i modi di vita che ne conseguono, quella forma di cultura che ha avuto origine in Occidente sta infatti decisamente universalizzandosi: non è dunque fuori luogo presumere che anche in altre parti del mondo si porranno presto – se già non si pongono – quei problemi che nascono dalla tendenza a ricavare, sia pure impropriamente, dalla scienza ragioni a favore dell’ateismo o dell’agnosticismo.

Vorrei terminare con l’auspicio che l’Evento internazionale su Dio oggi contribuisca a mostrare qual è il primo e in ultima analisi unico interesse della Chiesa, e così anche qual è la sua più profonda natura e vocazione, il suo “dover essere”: rendere, come ha scritto Benedetto XVI, Dio presente in questo mondo e aprire agli uomini l’accesso a Lui. In particolare, il Progetto culturale della Cei, che ha come suo scopo fondamentale incarnare la fede cristiana nella cultura del nostro tempo, va a toccare, con questa iniziativa, il suo nucleo più essenziale e determinante, ma anche più ambizioso e impegnativo: lo spirito che ci ha animato nel concepirla non è una volontà di sfida, e nemmeno di provocazione intellettuale, ma piuttosto la consapevolezza di un compito ineludibile, che si affronta con fiducia perché si è convinti che Dio stesso vuol rendersi presente agli uomini.