Quando si parla di una persona smarrita in un paese tanto sconosciuto quanto affascinante e intrigante, solitamente si pensa alla fanciulla del paese delle meraviglie, incantata dal paesaggio che la circonda e attratta dalle stravaganti persone che incontra lungo il cammino. Il paese delle meraviglie, per essere tale, deve necessariamente apparire magico, sfavillante, come una sorta di paese perfetto e ideale; ma ciò spesso risulta essere un’utopia, un sogno destinato a restare nella mente, frutto di fantasie, di illusioni e di idee che, nel corso del tempo, si rivelano vane ed infondate. Tuttavia, anche in questo mondo meraviglioso non tutto funziona alla perfezione; in nome di idee grandiose e di sogni ambiziosi si è disposti a far prevalere le proprie ragioni anche a costo di sopprimere i pensieri e le opinioni altrui. Nonostante tutto, fortunatamente c’è sempre qualcuno che riesce a far risuonare la propria voce, pur correndo il rischio di apparire ingiustamente come un idiota agli occhi di chi, di fatto, lo è veramente.

Di certo il coraggio di parlare e di denunciare una realtà difficile e intricata non mancò a Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-1881), autore del breve romanzo umoristico “Il villaggio di Stepàncikovo e i suoi abitanti”, presentato da Adriano Dell’Asta, docente di Letteratura russa all’Università Cattolica di Brescia, in occasione del quarto appuntamento in programma nel ciclo di conferenze “Letteratura e Letterature”, che si è svolto lo scorso 19 novembre 2009 nell’Aula Magna “Tovini" della sede bresciana. Il carattere ironico dell’opera è stato sottolineato dalla brillante lettura di alcuni passaggi per voce dell’attrice Giuseppina Turra, che ha dato prova di professionalità e di ottime qualità artistiche in ogni conferenza.

La capacità di sollevare, in maniera nemmeno troppo velata, i più sconcertanti interrogativi sull’esistenza umana assume in Dostoevskij diverse pieghe, tra le quali è possibile ritrovare, forse inaspettatamente, anche una chiave ironica che gli permette di accedere a realtà complesse e drammatiche. Proprio un’amara comicità contraddistingue “Il villaggio di Stepàncikovo e i suoi abitanti”, opera scritta nel 1859, che ha ispirato la rappresentazione teatrale “Il paese degli idioti” del regista Alvaro Piccardi, portata in scena al Teatro Sociale di Brescia. Questo romanzo segna, insieme con “Il sogno dello zio”, il ritorno alla letteratura di Dostoevskij dopo la condanna a morte per cospirazione antizarista, commutata poi in condanna ai lavori forzati e successivamente all’arruolamento come soldato semplice. Il prof. Dell’Asta, che si è soffermato prettamente sull’aspetto letterario del testo e sui suoi influssi sulle opere successive dell’autore russo, ha spiegato che, oltre a non essere tra le opere maggiori dello scrittore, “Il villaggio di Stepàncikovo” è un romanzo atipico, poiché è comico, ma solo apparentemente; attraverso questo romanzo Dostoevskij sbeffeggia e mette alla berlina gli intellettuali idealisti russi degli anni Quaranta dell’Ottocento e la nobiltà medio alta che gode di un potere tanto indiscusso quanto odioso. Sergey Aleksandrovich, l’io narrante, porta al centro del romanzo la figura di Fomà Fomìc, un parassita irritabile, egocentrico, privo di qualsiasi virtù, che ben incarna la nobiltà decaduta di quell’epoca. Il relatore ha sottolineato che Fomà è un fallimento totale che vuol far pesare sul prossimo il peso del proprio fallimento, pertanto si sente in dovere di giudicare, insegnare, emettere sentenze e abbindolare la gente con la sua “scienza del niente”. L’intera opera è contrassegnata da un aspetto di critica sociale ravvisabile, ad esempio, nel momento in cui Fomà vuole insegnare il francese a un servo e correggerne le espressioni. Ma ciò che detta il tono amaro dell’ironia è qualcosa di ben più grave: il potere distruttivo delle idee. Fomà – come ha precisato il docente – è un millantatore capace di invertire a suo piacimento il mercoledì in giovedì, mutando anche le date di un onomastico; in questo modo la suggestione dell’idea si sostituisce alla realtà, la trasfigura, imponendo addirittura una bellezza che non esiste. Dostoevskij, tornato dal carcere, è convinto che la felicità e il bene debbano caratterizzare la realtà attuale, il presente, e non essere soltanto ideali sofferti ed agognati per una vita futura. L’autore preannuncia in questo testo alcuni temi cha saranno poi ripresi e sviluppati in opere successive quali “Delitto e castigo”, “Demoni” e “I fratelli Karamazov”.

Nel villaggio di Stepàncikovo solo due persone riescono a far sentire la propria voce, contrastando così il falso intellettuale e le suggestioni esercitate dalle sue sciocche idee: un servo, che reagisce all’arroganza del suo padrone ricordandogli schiettamente che “ogni uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio”; e una bambina che nomina “un tiranno bugiardo che ci rovinerà tutti”. Questa bambina, persa all’interno del “paese degli idioti”, probabilmente si è accorta che il villaggio in cui è cresciuta non corrisponde a quel “paese delle meraviglie” che tutti cercano di costruire in nome di meri ideali e con il potere delle idee, che, al contrario, non fanno altro che distruggerlo.