Soneri, Montalbano, Coliandro, Manara. I Ris. Carabinieri. Tutte le forze dell’ordine hanno la propria fiction. La televisione è invasa da gialli polizieschi, da gialli psicologici, da detective e indagini. Un successo che va avanti da dieci anni e che non accenna a scemare. Qual è il segreto? Il seminario Le variazioni del giallo nella fiction italiana, organizzato dal master in Analisi e progettazione del prodotto televisivo, ha risposto a questa domanda con l’aiuto di Giorgio Simonelli, docente di Storia della radio e della televisione, di Beatrice Balsamo, docente di Cinema e Psicanalisi al Cimes-Dams Cinema all’Università di Bologna, e di Valerio Varesi, giornalista e scrittore, “padre” del commissario Soneri.

Giorgio Simonelli, introducendo il workshop, ha suggerito due risposte, una “negativa” e una “nobile”. Nel primo caso, si tratterebbe di assecondare il desiderio del pubblico di sentire le istituzioni più vicine. Tutto nascerebbe dalla necessità dei corpi statali di fare bella mostra di sé. L’ipotesi “più nobile”, invece, tiene conto delle trasformazioni socio-culturali. Il giallo, prima tanto denigrato, da alcuni decenni è stato come genere letterario “principe”. Il passaggio è avvenuto tra la fine del secolo scorso e l’inizio del Duemila. Il commissario Maigret era quasi una macchietta. Montalbano è un eroe. Quale che sia la risposta più verosimile, è evidente come il giallo poliziesco goda di una grande vitalità, riscontrabile sia nella tv italiana che nei palinsesti satellitari. Già dieci anni fa il panorama della fiction italiana era dinamico. Commesse e Un medico in famiglia cercavano di interpretare in maniera anticonformista la vita italiana. Quel genere oggi è in calo; il giallo, invece, tiene.

Beatrice Balsamo spiega questa attenzione sempre costante del pubblico da un punto di vista psicanalitico. «Nel giallo ritroviamo sempre qualcosa che ha a che vedere con la nostra storia personale». Alla perenne ricerca di una spiegazione, di un ordine, il giallo fa sempre nascere domande. Secondo la docente dell’ateneo bolognese sono due le chiavi del poliziesco: la sorpresa e la suspance. La sorpresa fa esplodere l’ordito narrativo. La suspance costruisce il ritmo. Lo spettatore viene assorbito nel cuore dell’azione e vi prende parte attivamente: «La suspance, dilatando il tempo, ci mette in contatto con l’incertezza, con il precario equilibrio tra la vita e la morte». Valerio Varesi, raccontando la nascita del commissario Soleri, poi approdato in tv con il volto di Luca Barbareschi nella serie Nebbie e delitti, ha descritto un uomo reale, storicizzato. Un commissario umano, abituato a sporcarsi le mani. «Tutto il contrario dei detective di fine ‘800. Il loro lavoro era di puro raziocinio: pensavano che il male fosse dovuto a tare ereditarie. Erano commissari aristocratici, tipi alla Sherlock Holmes e alla Hercule Poirot».

In una realtà frammentata e svuotata quale è quella di oggi, un uomo che lavora per ricostruire un ordine smarrito e per rinsaldare legami sociali interrotti non può che essere considerato un eroe. La fiction risulta così, ancora una volta, lo specchio di desideri infranti dalla realtà.