Profugi innumeri a patriis suis, ob famem fugiendam, ob bella vitanda quae terras eorum cruentant sanguine…”. Non è l’inizio di un’inedita orazione ciceroniana, ma un articolo di Avvenire sulla tragedia degli immigrati annegati lungo le coste di Lampedusa. A scriverlo Luigi Castagna (nella foto), docente di Letteratura latina nella facoltà di Lettere e filosofia dell’Università Cattolica, che da settembre pubblica ogni settimana la rubrica Laelius, scritta completamente in lingua latina. Il latinista-giornalista dell’Ateneo ha iniziato una collaborazione con le pagine culturali del quotidiano della Cei, che ha fatto la scelta controcorrente di approfondire tematiche legate alla cronaca e all’attualità nella lingua di Cicerone. Gli articoli appaiono, a cadenza settimanale, ogni martedì. Come per le riviste di enigmistica, nella settimana successiva, oltre al nuovo testo in latino, è pubblicata anche la traduzione dell’articolo precedente. Un modo per mettere alla prova le capacità linguistiche dei lettori appassionati di latino. E per tenere viva una lingua apparentemente morta.

Per gentile concessione di Avvenire, pubblichiamo l’articolo di martedì 8 ottobre e la traduzione comparsa il 15 sulla tragedia di Lampedusa, di cui proprio in questi giorni è stato aggiornato il triste bilancio: 366 morti, ricordati il 21 ottobre con i funerali di Stato al porto di Agrigento.

Migrantes
Profugi innumeri a patriis suis, ob famem fugiendam, ob bella vitanda quae terras eorum cruentant sanguine, vel per spem vitae alibi melius vivendae, multa milia hominum et mulierum cum pueris et puellis et matres quae in sinu filios nondum natos ducebant, mare Mediterraneum ab Africa ad Italiam transcurrerunt. Imaginare possumus quam terribilis fuisset eorum vita in patriis si, quamquam inexperti sunt nando, noctu naves conscenderunt quas naves appellare fraus est, ubi constipantur profugi quorum numerus inverosimilis videtur et per mare currunt et sperant quondam longe videre terram Siciliae vel potius insulae Lampedusae. Veniunt a Lybia ut Romani appellabant id quod Maghreb hodie vocamus ab Atlante usque ad fines Aegypti et veniunt ab Aethiopia et Somalia et a Syria. Ubicumque populi rebellaverunt contra principes malos sors peior ab hoc nata est.

Saepe in mea vita speravi vel quasi pro certo habui res humanas meliores mox futuras esse cum aulaeum vel siparium illud ferreum tandem cecidit sed quasi videtur malignus genius fertilem invenire humum ubi spes incipit nasci. Fratres et sorores sunt et filii nostri omnium egeni: et multa milia eorum mare nostrum hausit. Cum audiebam heri quaedam verba inhumana cuiusdam viri ad vitam publicam perperam electi, mihi in mentem veniebant humanissima verba Nausicae de Ulixe naufrago et ex me quaerebam num historia retro cessisset. Et enim ploravimus fortasse trecentos profugos, qui, per paradoxum, igni perierunt in alto mari. Vidi flentes senes piscatores ore a sole semusto, et vidi iuvenes classiarios Italicos plorare et medicum audivi dicere: «Duos pueros, puellam et puerulum, a mare recepi, amplexus sum et mortui erant et tantum potui oculos eorum claudere».

Franciscus clamavit: «Probrum et dedecus!». Cui? Nobis omnibus, ut puto. Non tantum iis qui dixerunt inhumana verba, eodem die quo caedes facta est. Nullius rei hi sunt et potius obcaecati. Unusquisque nostrum exerceat munus suum, quia fratres sunt.«Cum audis aerea instrumenta quae sonant a turri ecclesiae ne quaesieris cui sonent: nam tibi sonant».

Traduzione

Migranti: le campane suonano per noi
Profughi innumeri dalle loro patrie, per fuggire la fame per evitare le guerre che bagnano di sangue le loro terre o per la speranza di una vita da vivere meglio altrove, molte migliaia di uomini e di donne con fanciulli e bambine e madri che portavano in seno i piccoli non ancor nati hanno attraversato il Mediterraneo dall'Africa all'Italia. Possiamo immaginare quanto terribile fosse stata la loro vita in patria se, pur inesperti del nuoto, di note, si sono imbarcati su navi che chiamare navi è una frode, dove vengono stipati profughi il cui numero sembra inverosimile e corrono per il mare e sperano di vedere da lungi la Sicilia o meglio l'isola di Lampedusa. Vengono dalla Libia come i Romani chiamavano il Maghreb dall'Atlante ai confini dell'Egitto e vengono dall'Etiopia e dalla Somalia e dalla Siria. Dovunque popoli si ribellarono contro cattivi governanti una sorte peggiore ne è nata.

Spesso nella mia vita ho sperato e sono stato quasi certo che le vicende umane sarebbero state presto migliori, quando la cortina di ferro è caduta, ma sembra quasi che un genio maligno trovi terra fertile quando comincia a fiorire la speranza. Sono fratelli e sorelle e figli nostri privi di tutto: e molte migliaia il mare ne ha inghiottito. Quando ascoltavo ieri parole disumane di qualche politico a torto eletto alla vita pubblica mi venivano in mente le parole umanissime di Nausicaa sul naufrago Ulisse e mi chiedevo se la storia fosse ritornata indietro. E infatti abbiamo pianto forse trecento profughi che per paradosso sono morti per fuoco in mare. Ho visto piangere vecchi pescatori col viso cotto dal sole ed ho visto giovani marinai italiani piangere ed ho udito un medico dire: «Ho raccolto due bambini un maschio e una femminuccia dal mare li ho abbracciati ed erano morti ed ho potuto solo chiudere loro gli occhi».

Papa Francesco ha esclamato: «Vergogna!». Per chi? Per tutti noi, credo. Non solo per quelli che dissero parole disumane nel giorno stesso in cui la strage avvenne: costoro nulla contano e sono davvero accecati. Ciascuno di noi faccia il suo dovere perché sono fratelli. «Quando senti le campane che suonano dalla torre della Chiesa non chiederti per chi suonano: infatti suonano per te».