«È un onore poter dialogare con un artista di tale spessore che ha dato lustro alla scena musicale italiana in Europa e nel mondo». Con queste le parole Guido Michelone, docente di Storia della musica afroamericana ha introdotto l’incontro con Franco D’Andrea, 69enne pianista jazz premiato qualche mese fa a Parigi come miglior musicista europeo del 2010. Alla platea, composta a grande maggioranza da studenti del master in Comunicazione musicale, D’Andrea ha raccontato la sua pluridecennale carriera, dalle origini sino al recente premio che l’ha visto definitivamente salire nell'olimpo della musica. Una carriera impreziosita, negli anni ’70 dall’esperienza jazz-rock-fusion con la band Perigeo.



«Quello con il jazz – ha raccontato il maestro D’Andrea – è un amore che dura tutta una vita. Ho cominciato giovanissimo, a 17 anni, ispirato dalle sonorità dei mostri sacri del tempo . Ancora oggi mi sento ispirato e innamorato come agli inizi, sempre alla ricerca di nuove sonorità da proporre agli appassionati del genere».

Con i Perigeo, la super band jazz-rock-fusion che scosse, con le sue sperimentazioni, la scena musicale di quegli anni «fu un’esperienza fantastica – ha ricordato emozionato D’Andrea – perché per noi quel progetto era qualcosa di astratto, impalpabile, un gruppo col quale riuscimmo a dare libero sfogo ad altre facce del nostro talento. La scena florida del rock di quegli anni ci diede entusiasmo e notorietà. Avemmo l’opportunità di girare l’Europa, fare da gruppo spalla a band famose, riscuotemmo un buon successo e fu un’occasione, per il sottoscritto, di vivere una nuova esperienza artistica».

L’artista, ha parlato anche delle origini del jazz, alla base del suo colpo di fulmine per questo genere musicale: «Quello che mi ha sempre affascinato della musica jazz è stata la commistione di generi che l’hanno creato. Ogni paese che si affaccia sull’oceano Atlantico ha dato il suo contributo essenziale: oltre alle influenze dell’Africa c’è l’apporto del Sudamerica, della Francia e dell’Inghilterra».

Proprio la molteplicità di influenze che ha contribuito a dare forma al jazz sembra aver ispirato il mood esecutivo di D’Andrea nel corso degli anni : «Credo di essere un artista versatile, prima di tutto. Per me proporre sempre qualcosa di nuovo e non sedermi sugli allori è stato un modo per mantenermi giovane. A quasi settant’anni mi sento ancora frizzante e pieno di idee e tutto questo è merito della passione e dell’abnegazione che hanno caratterizzato la mia carriera».

Numerose le domande di una platea di studenti affascinati da tanta verve e classe musicale e dalle immagini del documentario di Andreas Pichler - “Jazz Pianist”- omaggio alle gesta dell’artista meranese. Il maestro trentino ha concluso sottolineando l’importanza della musica classica nella formazione di un’artista e la cultura musicale italiana: «Nel nostro Paese non è facile fare musica di un certo tipo. I fondi per la cultura sono destinati per il 90% all’opera e nell’età dell’apprendimento un ragazzino non è libero di suonare lo strumento che più lo affascina . Trovo che sia uno dei tanti limiti culturali del nostro Paese».