La decisione del Governo di istituire una giornata nazionale degli stati vegetativi va considerata positivamente in quanto pone all’attenzione pubblica la necessità di garantire sostegno alle famiglie e ai centri che si fanno carico di questa difficile condizione clinica, senza rassegnazione, senza rinunciare alla speranza di una ripresa e con la serena capacità di esercitare una perseveranza assistenziale a tutto campo. E tuttavia, questi stessi motivi  inducono però a ritenere sbagliata e non condivisibile la proposta di celebrare questa giornata il 9 febbraio, data della morte di Eluana Englaro. Il caso Englaro è, appunto, un caso, che non può e non deve diventare il simbolo di nessuna battaglia.

Il Centro di Ateneo di Bioetica, in questi anni, si è fatto interprete di una lunga, articolata, motivata campagna a difesa della vita di Eluana Englaro, ma ha sempre ritenuto prima, e ritiene ora, che il rispetto per la stessa Eluana Englaro imponga di non usarne la vicenda per scopi politici. Le spregiudicate forme di propaganda mass mediatica che sfruttano vicende personali per consolidare deboli e confuse teorie bioetiche non possono essere prese d’esempio e non andrebbero mai imitate.

Ben venga la giornata per le persone in stato vegetativo e per le loro famiglie, ma sia una giornata di speranza e di incoraggiamento per il miglioramento dell’assistenza e per lo sviluppo della ricerca scientifica: sia una data che ricordi un “risveglio”, come simbolo della necessità del risveglio morale a cui questo Paese è chiamato per assicurare una giusta e degna assistenza a tutti i suoi cittadini, senza alcuna discriminazione di sorta.