Può la bellezza essere un fattore di discriminazione sul luogo di lavoro? Sembrerebbe di sì. La conferma arriva da Daniel Hamermesh professore all'Università del Texas, ad Austin, da anni impegnato a misurare la bellezza in termini economico-sociali. Lo studioso americano è, infatti, convinto che per i belli sia più facile trovare lavoro, essere pagati meglio e ottenere prestiti vantaggiosi. Una componente, quella della bellezza, che fa sentire i suoi effetti anche in ambito politico. Basti pensare che politici dotati di un glamour al di sopra della media riescono a ottenere almeno quattro o cinque punti percentuali in più di voti. Hamermesh ha spiegato le sue teorie in una conferenza che si è tenuta lo scorso 16 aprile in Università Cattolica, e nel corso della quale è stata presentata la traduzione italiana del suo libro "Beauty pays" - La bellezza paga, edito in Italia da Egea - che ha reso celebre le sue analisi sui sistemi di reclutamento e il valore economico della bellezza. Ne hanno discusso con l'autore i professori dell'Ateneo Claudio Lucifora, Massimo Bordignon, Barbara Imperatori, e Stefano Antonelli, International HR Director di Gi Group.

Nel corso degli anni Hamermesh ha raccolto una serie di dati che hanno confermato la sua teoria secondo cui le persone con un aspetto più gradevole hanno più possibilità di trovare lavoro e sono meglio retribuite. Una ipotesi di ricerca che ha trovato riscontro innanzitutto tra gli accademici. In America, ha detto lo studioso, è più facile che un docente affascinante sia giudicato dagli studenti qualitativamente superiore rispetto a un collega meno attraente. Per Hamermesh la bellezza ha un valore quantificabile sul mercato del lavoro: chi è più bello è pagato di più. Molti, poi, potrebbero attendersi che la bellezza conti di più per le donne. In realtà, a beneficiarne maggiormente sono gli uomini, visto che questi ultimi, grazie alla componente dell'attrattività, possono godere di stipendi più alti rispetto alle colleghe: circa l'11%, mentre per le donne la percentuale si attesta intorno al 6-7 percento. Ma le differenze tra belli e meno belli non finiscono qui. Chi è più attraente tendenzialmente riesce a trovare partner più istruiti e più ricchi, ha vantaggi nell'accesso ai crediti e a ottenere migliori mutui per la casa.

Essere belli, dunque, è effettivamente un fattore di discriminazione tra persone che hanno lo stesso quoziente intellettivo e la stessa voglia di lavorare. Questo tipo di discriminazione - non sempre fatta consapevolmente dai datori di lavoro - non viene effettuata soltanto all'interno di professioni che prevedono un contatto con il pubblico, ma anche in attività che non necessitano di un aspetto gradevole, come tutto il personale del back-office. Negli Stati Uniti le teorie dell'economista Hamermesh sono state prese talmente sul serio che alcune persone sono già ricorse al tribunale e hanno proposto di creare delle leggi ad hoc che tutelino "i brutti" sul luogo di lavoro, creando una categoria protetta al pari dei disabili.

Ma non si rischia in questo modo di creare una discriminazione al contrario? Se facciamo un'analisi più approfondita, infatti, non sono pochi i casi in cui la bellezza non è tutto. Hamermesh cita il caso dell'attore Dustin Hoffman: i suoi parenti gli avevano sconsigliato di intraprendere la carriera di attore a causa di un viso poco cinematografico. Lui, invece, per tutta risposta ha vinto ben due Oscar.