Uno dei quaderni esposti alla mostra di PiacenzaTra i vari modi di celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia, la facoltà di Scienze della formazione, il dipartimento di Pedagogia e il corso di laurea magistrale in Progettazione pedagogica nei servizi per i minori dell’Università Cattolica hanno scelto di centrare l’attenzione sul tema dell’educazione patria, con un convegno nazionale e una mostra, organizzati dalla cattedra di Storia della pedagogia di Piacenza della professoressa Simonetta Polenghi.

Il convegno del 7 aprile nella sede piacentina si è focalizzato sull’editoria scolastica, sui libri di testo e sui quaderni di scuola, fonti su cui negli ultimi decenni, in Italia come in Europa, si è appuntata l’attenzione degli storici della scuola, che ricostruiscono così la vita interna delle classi, la prassi didattica, la vita quotidiana di alunni e docenti. La manualistica scolastica, le riviste per i maestri, i quaderni e i diari degli alunni, i registri di classe e i diari dei maestri costituiscono fonti oggi attentamente studiate.

L’evento ha inaugurato la mostra Patrî quaderni. La propaganda patriottica nelle copertine dei quaderni di scuola tra Italia post-risorgimentale e repubblicana. Allestita sino al 7 maggio nell’atrio dell’Università Cattolica, l’esposizione, curata da Juri Meda e Silvia Assirelli dell’Università di Macerata, propone un centinaio di copertine di quaderni spiegando come un apparentemente insignificante articolo di cancelleria sia stato utilizzato a fini propagandistici già a partire dalla fase post-risorgimentale e in modo massiccio nel fascismo.

La mostra, realizzata grazie anche al contributo di Cariparma, è organizzata in varie sezioni tematiche, dal Risorgimento alla prima guerra mondiale, dal fascismo alla guerra di liberazione, da Casa Savoia alla storia patria. La mostra della Cattolica si lega al percorso della mostra libraria “Fratelli d’Italia?”, della Biblioteca Passerini-Landi, presentata nel corso del convegno del 7 aprile. Insegnanti e scolari non sono solo l’oggetto degli studi storico-educativi, ma ne sono anche destinatari privilegiati. Fondamentale si rivela l’apporto archivistico, da un lato per la conservazione delle fonti per lo studio della storia della scuola, dall’altro per l’opera di divulgazione presso le scolaresche.

Uno dei quaderni esposti alla mostra di PiacenzaNel corso del convegno, l’intervento di Roberto Sani, dell’Università di Macerata, ha preso in esame gli scenari e le premesse di carattere politico e culturale con i quali la scuola si è confrontata nel primo quarantennio post-unitario, alle prese con «l'impegnativo e ambizioso compito, assegnatole dalle classi dirigenti liberali, di "fare gli italiani"». Le élite politiche e intellettuali si trovarono infatti a gestire «un processo unitario nel quale il rapporto tra Stato e società civile, la partecipazione dei singoli alla vita politica e istituzionale e la concreta attuazione di un nuovo tipo di cittadinanza si realizzarono secondo una prospettiva marcatamente oligarchica e all'insegna di una netta divaricazione tra le classi». Un abisso separava la ristretta élite dalla larga base popolare, secondo la teoria "dei due popoli" che influenzerà sia la circolazione culturale sia il sistema formativo nazionale, con i percorsi paralleli e distinti. Quelli riservati rispettivamente alle élite borghesi erano di impostazione umanistica, con il coronamento degli studi nelle università, per dotare «la futura classe dirigente del Paese di un solido bagaglio culturale e di una formazione etico-politica nutrita di senso storico e di consapevolezza critica»; quelli riservati alle classi popolari erano senza sbocchi, limitati all'essenziale: leggere, scrivere e far di conto, valorizzando la fantasia, il sentimento e l'immaginazione e interiorizzando l'etica borghese e i suoi valori, tra cui la rassegnata accettazione della propria condizione sociale. Dopo il 1870 si fecero strada nuove correnti pedagogiche di matrice positivista e provvedimenti di laicizzazione dell'istruzione improntati a un forte anticlericalismo che - ha sottolineato Sani - accentuarono la dimensione di astrattezza e autoreferenzialità del progetto di educazione nazionale promosso dalle élite politiche e culturali postunitarie attraverso la scuola», finendo con il configurarsi come «una delle maggiori cause del suo sostanziale fallimento».