L’ultimo in ordine di tempo si chiama Mario Balotelli. Prima di lui c’era stato Antonio Cassano. L’elenco dei calciatori, spesso molto giovani, talentuosi ma allergici alle regole è davvero lungo. Un luogo comune romantico ma dove il lieto fine è tutt’altro che scontato. Qualche esempio? Paul ‘Gazza’ Gascoigne, tanti numeri col pallone tra i piedi ma, purtroppo, anche con la bottiglia. L'ultimo caso di carriera gettata al vento è quella del brasiliano Adriano tornato in Brasile dopo una lunga serie di eccessi tra donne, festini, alcool e rapporti pericolosi con i boss delle favelas di Rio.

Alla luce di quanto la storia calcistica insegna un ruolo fondamentale, soprattutto per i giovani calciatori all’inizio della carriera, è quello dell’allenatore. Un tecnico certo, ma soprattutto un educatore. Ed è proprio questo secondo aspetto una delle linee guida del corso di formazione, presentato lo scorso 5 maggio, “Il ruolo dell’allenatore di settore giovanile di calcio tra competenze pedagogiche e tecniche”  promosso dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica in collaborazione con il settore giovanile del Milan e della Commissione Sport della Diocesi di Milano.

«Il mondo dello sport – ha spiegato il preside della facoltà Michele Lenoci - spesso trasmette valori nobili ma che però non solo non vengono attuati ma contraddetti. Per questo motivo ben venga questo corso. L’allenatore non deve essere soltanto un bravo tecnico ma una figura capace di trasmette valori educativi che resteranno ai suoi ragazzi per tutta la vita, anche se non diventeranno atleti affermati».

Luigi D’Alonzo, docente di Pedagogia Speciale della Cattolica e direttore scientifico del corso ha sottolineato che lo spirito di volontariato e la voglia di far bene, sempre lodevole, non è sufficiente. «I ragazzi chiedono amore – ha detto - e davanti a questa richiesta non bisogna avere remore. Ma l’amore non basta, occorrono le competenze necessarie, basilari per poter aiutare i giovani in modo efficace». Sulla stessa linea il coordinatore del corso Marcello Bolis: «Non bisogna mai dimenticare che il tecnico del settore giovanile deve seguire l’intero processo educativo del giovane e costruire con lui un rapporto senza tuttavia trascurare aspetti fondamentali come la programmazione del lavoro e la cura dei rapporti con gli altri soggetti,colleghi e genitori in primis».

Alla tavola rotonda hanno partecipato anche due personaggi di spicco del mondo del calcio come Stefano Eranio, ex calciatore di Genoa e Milan e Davide Ballardini che dopo aver maturato una lunga esperienza come tecnico di squadre giovanili e aver fatto la gavetta come tecnico di prima squadra (alla guida di Sambenedettese e Pescara) è approdato in serie A sedendo sulle panchine di Cagliari, Palermo e Lazio.


 

     


«Ho ricevuto, e continuo a ricevere, molto dai miei giocatori. Qualche giorno fa – ha raccontato con un pizzico di commozione Ballardini - ero a cena con alcuni ragazzi che allenavo quando ero il tecnico delle giovanili del Cesena. Non hanno fatto carriera nel mondo del calcio ora sono avvocati, giornalisti…ma per me sono soprattutto degli amici. Vieni ricordato come persona, smetti di essere il loro allenatore è vero, ma resta il sentimento di amicizia, di rispetto, ti vogliono bene. Questi ragazzi magari non hanno fatto carriera - ha concluso – ma per loro rappresento un momento importante della loro crescita come del resto loro rappresentano un momento importante della mia. La soddisfazione dell’istruttore è questa».

Eranio ha voluto invece ricordare come la sua carriera calcistica sia nata in strada: «Giocavo soprattutto con mio fratello maggiore. I nostri genitori non ci permettevano di fare tutto, entrambi lavoravano, i soldi non erano tanti e il pallone era il massimo divertimento che potevamo permetterci per giocare. I miei mi ‘affidavano’ a lui e di conseguenza passavo molto tempo a giocare con i suoi amici. E, ovviamente, ero il più piccolo. Una cosa che mi è tornata utile in seguito - svela- perché mi sono abituato a giocare con avversari più grandi, soprattutto fisicamente. Quando feci il provino per il Genoa, mi trovai di fronte ragazzi piccoli come me, fu tutto molto semplice». Eranio, che al termine dell’esperienza in maglia rossonera ha giocato anche in Inghilterra, nel Derby County, ha anche sottolineato le differenza, per quanto riguarda la cultura sportiva, fra il nostro paese e il Regno Unito: «Loro vedono lo sport nella maniera giusta, come piace a me. Non ti fanno i conti in tasca. In Italia c’è la brutta abitudine che dato che un giocatore prende un sacco di soldi, non può permettersi di sbagliare, di ‘ciccare’ un pallone o di fare male uno stop».

A concludere la riflessione di don Alessio Albertini, segretario della Commissione Diocesana Sport di Milano nonché fratello del celebre Demetrio, ex centrocampista del Milan e della Nazionale attualmente vice-presidente della Federcalcio ( «ma non dimenticate che io sono il maggiore – ha scherzato don Alessio ricordando l’analoga storia di Eranio - lui ha cominciato a giocare perché lo portavo con me…»).

«Nella realtà quotidiana, come nello sport, i risultati si raggiungono facendo fatica. Certo, ci sono delle scorciatoie, che oltre ad essere sleali sono anche rischiose perché se vieni scoperto il conto da pagare è salato. Nella società del tutto e subito e possibilmente facile – ha concluso - una figura che ti ricorda che in campo si suda per raggiungere un obiettivo e che sarà sempre così, che non ti regala niente nessuno, rappresenta un insegnamento grande non solo per lo sport ma soprattutto per la vita».