di Furio Sacchi *

Maria Pia Rossignani si era iscritta all'Università Cattolica di Milano con l'intento di coltivare gli studi storico-artistici, ma l'incontro con il professor Cagiano de Azevedo la indirizzò all'archeologia del mondo classico, che, a partire dalla tesi di laurea su "I restauri settecenteschi ai dipinti di Ercolano e Pompei", discussa nel 1962, rimase al centro dei suoi interessi di studiosa e poi di docente. La partecipazione, ancora giovanissima, agli scavi di Malta sotto la direzione scientifica del professor Cagiano de Azevedo la portò a contatto con le culture antiche al centro del Mediterraneo e a intessere con Antonia Ciasca rapporti di stima e di affetto, i quali sarebbero stati rinsaldati, a molti anni di distanza, grazie alla collaborazione al progetto di studio del santuario di Tas Silġ.

Il trasferimento a Parma, dopo il conseguimento della laurea e del diploma della Scuola di perfezionamento in Archeologia, costituì un'ulteriore decisiva tappa nel suo percorso formativo, segnato questa volta dall'incontro con Antonio Frova, che la coinvolse prima nello studio e nella pubblicazione dei materiali architettonici romani rinvenuti nel centro urbano e, poi, nelle importanti indagini archeologiche a Luni, presso Carrara, che rappresentano buona parte della sua produzione scientifica compresa tra gli anni 1970 e 1990. La collaborazione con Antonio Frova proseguì anche in ambito lombardo con la ripresa delle indagini sul complesso sacro di età tardo repubblicana scoperto a Brescia al di sotto dei resti del Capitolium flavio.

A lei gli studiosi di antichità milanesi sono debitori delle conoscenze contenute nei suoi lavori sul complesso della basilica di San Lorenzo, dell'anfiteatro romano di via Conca del Naviglio e della messa a fuoco dei più antichi documenti riguardanti la plastica architettonica romana. A partire dagli anni Ottanta, l'ampliamento della sede milanese dell'Università Cattolica la vide impegnata in qualità di responsabile scientifico alle ricerche archeologiche preventive alla costruzione dei nuovi corpi di fabbrica e alle successive pubblicazioni delle risultanze, raccolte nei volumi della collana Contributi dell'Istituto di Archeologia, del cui comitato scientifico direttivo fu membro.  

Dal 1980 fu professore associato di Archeologia e Storia dell'Arte greca e romana presso l'Università Cattolica; nel triennio 1990/1993 fu professore straordinario di Archeologia presso l'Università degli Studi dell'Aquila, città cui rimase sempre legatissima nel ricordo dei colleghi, del personale amministrativo e degli studenti, per rientrare nel 1993 in qualità di professore ordinario sulla cattedra di Archeologia e Storia dell'Arte greca e romana nell'Ateneo di provenienza, dove continuò la sua attività sino al pensionamento nel 2012. Sempre nella propria università fu direttore della Scuola di Specializzazione in Archeologia dalla sua istituzione, avvenuta nel 1997, fino al 2010 e coordinatore del dottorato di ricerca in "Archeologia dei processi di trasformazione. Le società antiche e medievali" dal 1997 al 2008.

Gli ultimi anni del suo lavoro furono assorbiti dallo scavo nel complesso sacro di Tas Silġ, a Malta, quando divenne direttore della Missione archeologica italiana alla scomparsa dell'amica Antonia Ciasca avvenuta nel 2001. Già da una decina di anni operava a Hierapolis di Frigia in Turchia, dove si prodigò con enorme energia e passione allo studio dei resti strutturali e architettonici della monumentale stoà-basilica nella cosiddetta agorà settentrionale. In questo sito la paziente analisi ricostruttiva, durata anni, di un edificio pubblico a due piani, lungo circa 280 metri, conservato solo a livello di fondazione e di centinaia di elementi architettonici raccolti nel corso del tempo senza adeguata documentazione rappresenta una convincente metafora della determinazione e delle capacità scientifiche di Maria Pia Rossignani non disgiunte da una qualità intuitiva, senza le quali i dati oggettivi rimangono inanimati.

Fu persona parca di parole, riservata e concreta, sempre pronta a raccogliere le sfide anche nelle situazioni più complicate, qualità che si apprezzano nel suo pensiero e nella sua scrittura, densa, concisa, che riflette un pensiero limpido, scarno, essenziale. Fu determinata nel porre la sua attività didattica  davanti a ogni altro impegno professionale e personale, per rispetto degli studenti, ma anche delle proprie conoscenze, che non dovevano rimanere confinate in se stesse, ma diventare patrimonio di una condivisione culturale, al servizio della difesa dei beni archeologici. Fu una docente le cui curiosità e serietà scientifiche non si posero mai in alternativa alla profonda umanità che informava il suo agire e i suoi rapporti con colleghi, collaboratori, studenti e quanti venivano in contatto con lei, indipendentemente dalla loro condizione sociale, culturale e soprattutto accademica.

Il suo coinvolgimento nell'azione di solidarietà verso i meno privilegiati fu sempre schierato e senza ambiguità, offrendo il proprio sapere, e non solo, nelle situazioni di concreto bisogno, come dimostra la sua partecipazione nella ricostruzione filologica del Duomo di Venzone distrutto dal terremoto che nel 1976 aveva colpito il Friuli Venezia-Giulia, sua regione di adozione. Sensibile alle difficoltà lavorative dei suoi laureati, si prodigò perché trovassero sbocchi alternativi al mondo universitario. Sempre aperta e ottimista, affrontò con coraggio e senza lamentele o rimpianto la malattia che l'aveva colpita negli scorsi mesi e ne trasse un insegnamento che offrì come estremo esempio a tutti coloro che le erano vicini. Personalmente le sono molto grato per essere stata una maestra di vita in quel suo modo schivo e sorridente.

 *  Docente di Archeologia classica