Tra tutti gli scrittori, almeno tra quelli moderni, Shakespeare è senza dubbio “the poet of nature, the poet that holds up to his readers a faithful mirrour of manners and of life”. Queste le parole, tratte da Preface to Shakespeare, con le quali lo scrittore e critico letterario Samuel Johnson (1709-1784) descrive il più celebre rappresentante della letteratura inglese, il drammaturgo William Shakespeare (1564-1616), come il poeta della natura umana che offre ai suoi lettori uno specchio fedele della vita e dell’agire umano. Probabilmente nelle parole di Johnson è possibile cogliere il segreto del grande successo che le opere di Shakespeare riscuotono ancora a distanza di secoli, dal momento che sono tuttora rappresentate nei teatri di tutto il mondo suscitando un profondo interesse in un pubblico vastissimo. Se ce n’era bisogno, un’ulteriore testimonianza del favore che le opere del Bardo incontrano è arrivata dalla straripante affluenza lo scorso 11 novembre nell’Aula Magna Tovini al terzo incontro del ciclo Teatro 2010. Arturo Cattaneo, docente di Letteratura Inglese presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha proposto un’analisi dell’opera Sogno di una notte di mezza estate (A Midsummer Night’s Dream, 1595) di William Shakespeare, in  calendario negli stessi giorni nella stagione di prosa del Ctb. Accanto a lui, l’attrice che a teatro interpreta Titania, Chiara Di Stefano, che ha entusiasmato il pubblico interpretando magistralmente alcuni passaggi-chiave del play.  

La comicità è destinata a invecchiare presto poiché la sua ricezione varia di epoca in epoca; affinché ciò non accada, bisogna che intreccio, azione, ritmo narrativo, ritratti psicologici e vicende umane concorrano simultaneamente alla resa di una comicità universale, come quella che caratterizza il Sogno di Shakespeare, che, andando al di là di ogni coordinata contingente, sia motivo di riflessione continua nel corso dei secoli. Nel nostro caso, al centro della vicenda e del mondo intero vi è l’amore, mutevole come le maree e i venti, disastroso come le prime e inconsistente come i secondi: è il Leitmotiv di una storia conturbata che fa di questo play una commedia atipica. Per celebrare le nozze di Teseo, duca d’Atene, e di Ippolita, regina delle Amazzoni, alcuni artigiani ateniesi, capeggiati dal tessitore Bottom, decidono di rappresentare l’opera Piramo e Tisbe e si recano in un bosco per le prove. In questo luogo sopraggiungono anche Lisandro ed Ermia che si amano e fuggono da Atene perché il padre di lei vorrebbe darle come marito Demetrio; contemporaneamente Demetrio li insegue, inseguito a sua volta da Elena che lo ama. Oberon, il re degli elfi, e Puck, il folletto che è al suo servizio, si divertono alle spalle dei quattro giovani e di Titania, sposa di Oberon, intrecciando tra loro passioni subitanee a forza di incantesimi: Titania ne è la vittima principale, stregata da un filtro che la obbliga a innamorarsi del primo che incontra. E il primo è Bottom, cui Puck ha mutato la testa in quella di un asino.

La trama di equivoci, litigi e confusioni si scioglie quando Oberon dissipa tutti gli incanti: il duca Teseo rintraccia gli innamorati e sanziona le unioni secondo i sentimenti. Gli artigiani infine recitano la loro tragedia, trasformandola involontariamente in farsa e divertendo così immensamente la corte e il duca. In questo intreccio di liaisons amorose, Shakespeare diventa il poeta del corteggiamento che, nelle sue opere così come ai giorni nostri, è fatto di sguardi, dichiarazioni, sospiri, ma anche di comportamenti meschini che talvolta sfociano in vendette, tutte componenti di quel gioco a cui i giovani protagonisti non possono sottrarsi. Il drammaturgo ride degli innamorati, simili ai poeti che nella vita quotidiana smentiscono ciò che giurano in poesia, ma non dell’amore che racchiude in sé un potenziale tragico assai esplosivo. Nel Sogno si dice che il corso del vero amore non è mai stato chiaro; la fuga d’amore e il corrispettivo inseguimento amoroso sono due dinamiche che sottolineano quanto questo forte sentimento porti chi lo vive a intraprendere percorsi sconosciuti alla volta di un luogo come il bosco in cui non vigono le leggi della città e della famiglia, in cui pertanto è possibile amare liberamente senza essere vittime delle comuni logiche sociali.

L’innamorato shakespeariano è presentato come un malato d’amore che si vanta d’essere stato infettato da quel morbo che non risparmia nessuno e che può essere debellato solo mediante un rimedio d’amore, un farmaco portentoso come un filtro magico; etimologicamente lo stesso termine “filtro” indica ciò che nutre l’amore e, in diverse opere della tradizione occidentale, in primis la storia di Tristano e Isotta, esso dimostra sempre tutto il suo potere e svolge un ruolo determinante ai fini della narrazione. Sorge quindi un interrogativo tanto caro anche al Bardo: quanta parte di colpa ricade sugli uomini se le loro passioni sfrenate sono gestite da un filtro magico? Allo stesso modo è lecito chiedersi quanto i personaggi umani contribuiscano poi alla lieta risoluzione della commedia poiché, in effetti, il merito dovrebbe andare solo al filtro che, sia nella buona che nella cattiva sorte, determina e condiziona i rapporti interpersonali e affettivi tra i caratteri. "A dire il vero, amore e ragione di questi tempi non vanno molto d'accordo": l’amore è illogico, irrazionale, incomprensibile, irresistibile, quindi la colpa, a prima vista imputabile al filtro, deve essere rivista come la giusta manifestazione del lato oscuro dell’amore che, anche se rivestito delle forme più pure ed eleganti, cela in ogni caso una dimensione negativa che emerge attraverso un sottile e complesso smascheramento degli istinti personali. Trattandosi di un sogno all’interno di una commedia, è inevitabile che all’alba giunga il momento del lieto risveglio dopo una notte straziante che la mente umana non saprebbe spiegare; il ritorno alla quotidianità non riporta però i personaggi su un piano completamente razionale, poiché il confine tra sogno e realtà è ancora assai labile. Per questo motivo le ultime parole spettano al folletto Puck, colui che chiama “folli questi mortali”, che risulta essere l’unico personaggio lucido poiché la forza travolgente dell’amore non lo ha investito. In un contesto quasi surreale si conclude la commedia del poeta di Stratford-upon-Avon, commedia alla quale sembra fare perfettamente eco la riflessione che i protagonisti della Traumnovelle di Arthur Schnitzler formuleranno a distanza di più di tre secoli: “kein Traum ist völlig Traum”. Proprio così: nessun sogno è completamente sogno, soprattutto nel Sogno di Shakespeare.

Il programma del ciclo "Teatro 2010" ( KB)