Settimana sociale

La quarantaseiesima Settimana sociale dei Cattolici italiani è in corso a Reggio Calabria dal 14 al 17 ottobre. All’evento partecipano numerosi docenti dell’Università Cattolica: il rettore Lorenzo Ornaghi, Vittorio Emanuele Parsi, il preside di Sociologia Mauro Magatti, Maria Luisa Di Pietro e Simona Beretta. E proprio dell’economista della facoltà di Scienze politiche, che ha fatto parte del comitato preparatore, proponiamo l’articolo pubblicato dal bimestrale “Vita e Pensiero” nel numero 4/2010 in preparazione all’evento, in cui sono riportati anche gli interventi di Andrea Olivero e di Carlo Blangiardo.


di Simona Beretta

Vita e Pensiero 4/2010Si avvicina l’appuntamento della 46ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, importante tappa della presenza pubblica dei cattolici nella vita del nostro Paese. Avendo avuto il privilegio di partecipare come membro del Comitato scientifico e organizzatore al percorso di preparazione (durato circa un anno e mezzo, ha visto protagonisti numerosi soggetti: diocesi, associazioni e movimenti, esperti… Soggetti che testimoniano concretamente la speranza cristiana in atto), mi preme qui toccare tre punti. Ripercorrere la traccia del Documento preparatorio, che costituisce l’ipotesi di lavoro predisposta dal Comitato per i giorni di Reggio Calabria; ricordare due momenti del percorso di preparazione svolti presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore; condividere alcuni pensieri che mi accompagnano in questo ultimo tratto di percorso preparatorio.

L’esordio del Documento è dedicato a Bene comune globale e questione nazionale: la questione nazionale, infatti, si colloca oggi in quel processo di globalizzazione e di ricomposizione del ruolo delle grandi aree geopolitiche che sta modificando profondamente la situazione delle società “occidentali”. Se c’è un’urgenza globale, oggi, è certamente quella della libertà religiosa, tema strategico per lo sviluppo (di ogni uomo, di tutti gli uomini) e per il funzionamento stesso delle istituzioni politiche, scientifiche ed economiche. Libertà religiosa a rischio in molti Paesi e in molti modi, dai più violenti ai più subdoli; in particolare, libertà religiosa per le istituzioni ecclesiali e per i cristiani, eredi forse un po’ dimentichi della cultura viva che storicamente ha reso possibile quella stessa libertà.

Cosa significa perseguire il bene comune globale? Spesso, le risposte semplici sono le più vere: cresce il bene comune dove cresce il valore della vita umana, delle relazioni che la rendono possibile, della vita con le sue differenze e le sue fragilità. Il Documento cita la Caritas in veritate: «La Chiesa propone con forza questo collegamento tra etica della vita ed etica sociale nella consapevolezza che non può “avere solide basi una società che – mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata”» (CV 16). Alla esperienza elementare è evidente che la vita non può fare a meno di due cose: dell’amore e della verità. Niente di meno: lo esige la sofferenza di troppi membri della famiglia umana ai quali esprimere quella fraternità che, noi come loro, abbiamo ricevuto in dono.

Nella Settimana Sociale di Reggio Calabria ci si occuperà soprattutto dell’Italia per due ragioni.  Primo, per riscoprire e sviluppare l’eredità della grande politica estera ed europea dell’Italia, Paese che ha dato un contributo essenziale all’evolversi delle relazioni internazionali, a partire dallo scacchiere europeo. Secondo, perché il processo di globalizzazione investe pesantemente anche l’Italia: ne svela le risorse, ma mette anche in luce tensioni, errori, omissioni, ritardi. Oggi l’Italia si presenta come una “media potenza declinante”, appesantita dal suo debito e dall’inerzia di tanti apparati pubblici, il cui ruolo deve essere ri-pensato e ri-valutato, superando l’equazione pubblico = statale. Una media potenza in affanno anche per un diffuso appiattimento sul presente, che si riflette in scarsi investimenti, in particolare nella risorsa che a parole tutti riconoscono fondamentale: la risorsa umana (che poi sarebbero i bambini, e prima ancora i pancioni). In quest’orizzonte piatto, senza speranza, si capiscono bene tre questioni che il Documento evidenzia: le dinamiche demografiche preoccupanti; il divario tra le opportunità delle donne e quelle degli uomini; la crescente minaccia all’istituto familiare e la rarefazione di soggetti adulti che si assumano con entusiasmo l’avventura educativa.

Il secondo paragrafo, Orientarsi al bene comune, chiede quale speranza noi cattolici, oggi, siamo chiamati a testimoniare. Siamo chiamati a vivere secondo la nostra identità: battezzati, cioè nuove creature in Gesù Cristo. La Caritas in veritate ci sostiene nel definire e perseguire il bene comune, bene di tutti e di ciascuno (CV 7), non riducibile al problema “tecnico” di come dare forma all’ambiente istituzionale nel quale la vita concreta si dipana, perché il bene che abbiamo in comune è proprio la vita dei soggetti vitali: famiglie, intraprese profit e non profit, associazioni. Benedetto XVI conferma un insegnamento antico: perseguire il bene comune «spetta tanto ai cittadini, quanto ai gruppi sociali, ai poteri civili, alla Chiesa e agli altri gruppi religiosi: a ciascuno nel modo a esso proprio, tenuto conto del loro specifico dovere verso il bene comune» (Dignitatis humanae, 6) e lo attualizza: «La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace» (CV 57).

Il lungo passaggio finale di questo paragrafo riguarda il tema Famiglia e bene comune, ed è un esempio di cosa significa mettere i soggetti al centro della “agenda di speranza” per il nostro Paese. La famiglia è paradigma e sorgente della solidarietà cristiana, che trae forza e alimenta la varietà e la libertà attraverso l’amore; la famiglia esprime l’insopprimibile socialità della persona umana, la cui verità è nell’amore inteso come libero dono di sé. In una compiuta prospettiva di sussidiarietà, la famiglia non è subalterna allo Stato, alle imprese o a qualsiasi altro potere; nei limiti della propria specificità, essa travalica ogni tentativo di reclusione nel privato e gode di una piena dignità sociale e pubblica. Nel suo terzo paragrafo, Declinare il bene comune: un’operazione di discernimento, il Documento propone un metodo di lavoro: individuare una breve lista di “problemi”, ossia di situazioni che presentano alternative realistiche tra le quali cogliere possibilità di generare più bene comune. «Il Paese deve tornare a crescere, perché questa è la condizione fondamentale per una giustizia sociale che migliori le condizioni del nostro Meridione, dei giovani senza garanzie, delle famiglie monoreddito […]. Ciascuno è chiamato in causa in quest’opera d’amore verso l’Italia: è una responsabilità grave che ricade su tutti, in primo luogo sui molti soggetti che hanno doveri politico-amministrativi, economico-finanziari, sociali, culturali, informativi»», ha detto il Cardinale Angelo Bagnasco nel novembre 2009.

Per cogliere le possibilità e generare bene comune occorrono soggetti “vivi”: nel percorso di avvicinamento alla Settimana Sociale, il Comitato ne ha incontrati molti, capaci di mettere in gioco le loro risorse per riprendere a crescere. Nella Lettera di Aggiornamento del gennaio 2010 (che si può leggere sul sito http://www.settimanesociali.it/ ) se ne segnalano cinque: persone con grandi e diffuse capacità di lavoro e intrapresa, che non temono il mercato; persone adulte che raccolgono con entusiasmo la vocazione a crescere e ad accompagnare i giovani e i piccoli nell’avventura educativa; persone immigrate, che arricchiscono il nostro Paese in molti sensi; giovani che studiano, che fanno ricerca, che lavorano; persone impegnate nel tentativo di innovazione politica.

Per declinare un’agenda per “riprendere a crescere”, si possono accostare cinque verbi alle cinque risorse: intraprendere, educare, includere le nuove presenze, slegare la mobilità sociale, completare la transizione istituzionale. Tutti i diversi soggetti vitali – famiglie, lavoratori e imprese, giovani – hanno uno spazio di responsabilità creativa in ciascuno di questi ambiti d’azione. Molti, e duri, sono i problemi da affrontare (si veda ancora il sito http://www.settimanesociali.it/), ma la speranza c’è. «Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro Tutto, la nostra speranza più grande» (CV 78). Consapevolmente, il Documento si conclude ricordandoci qual è il bene più prezioso che abbiamo davvero in comune: la presenza reale di Cristo in mezzo a noi. Infatti, «la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale », come leggiamo in Deus caritas est (14).

L’Università Cattolica ha dato il suo contributo nel percorso di avvicinamento alla 46a Settimana Sociale. Si è trattato di due occasioni che hanno mostrato come la speranza dei cristiani sia realistica: si può davvero cogliere opportunità per generare il bene comune, avventurandosi nell’incontro reciproco. Il 12 giugno 2009 si è svolto il 1° Seminario di Studio in vista della Settimana Sociale 2010, sul tema Le forme dello spazio pubblico: una riflessione dottrinale approfondita, ma anche la documentazione concreta di come si può “crescere”. Esperienze di intrapresa economica e sociale, anche dove la fragilità è estrema; esperienze di educazione e di accoglienza familiare; esperienze che sono speranza in atto, irriducibile determinazione a servire concretamente il fiorire della vita. Nel settembre 2009 è stata poi ospitata una “audizione” di giovani economisti. Un lungo e appassionante sabato mattina di lavoro, senza sconti. Diverse discipline, diverse scuole di pensiero economico, diversi orientamenti politici, diverse provenienze geografiche… Ma non una passerella di opinioni, bensì il reale tentativo di far emergere un comune sentire, l’esplorazione della possibilità concreta di una espressione “corale”.

Davvero i cristiani sono testimoni di speranza, qui e ora. Due parole del nostro Papa mi accompagnano in questa ultima fase preparatoria dell’appuntamento di Reggio Calabria, per non cadere nell’abbaglio che la nostra forza stia nella scaltrezza o nel fervore dell’azione: solo la gratuità genera. La prima parola è dura: «Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di potere e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?» (Lisbona, martedì 11 maggio 2010). La seconda parola è entusiasmante: «Direi che normalmente sono le minoranze creative che determinano il futuro, e in questo senso la Chiesa cattolica deve comprendersi come minoranza creativa che ha un’eredità di valori che non sono cose del passato, ma sono una realtà molto viva e attuale» (Intervista concessa durante il volo verso la Repubblica Ceca, 26 settembre 2009). Non è più tempo di steccati, di ruggini, di piccoli poteri… Il tempo della minoranza creativa è oggi.

Settimane sociali, i tre articoli di "Vita e Pensiero" 4/2010 ( KB)