“La realtà ha superato la nostra immaginazione sociologica. E questo per un ricercatore non è poco” . Le parole di Lucia Boccacin, docente di Sociologia presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano, la dicono lunga sull’esito dell’indagine riguardante il contributo del Terzo settore nel promuovere partnership, ovvero reti sociali fra soggetti di natura diversa, e buone pratiche nei servizi alla persona. Lo studio, condotto insieme alla collega Giovanna Rossi della facoltà di Psicologia, si è diviso in tre fasi: la prima è stata una ricognizione delle varie realtà presenti nel nostro Paese che ha portato alla selezione di 170 esperienze/associazioni del Terzo settore dalle quali sono state individuate 34 potenziali partnership. Successivamente sono state scelti e analizzati cinque casi emblematici provenienti da diverse parti d’Italia e con obiettivi differenti.
Le realtà prese in esame sono il Progetto Disabilità del CeSaVo di Savona, il Progetto CRAIS dell’associazione La Strada di Bolzano, il Progetto PAN attuato dai Consorzi CGM e DROM -Lega Coop insieme alla CDO - Impresa Sociale di Firenze, il Progetto Genesi della Cooperativa Roses di Teramo e il progetto Contro il Pizzo Cambia i Consumi del Comitato Addio Pizzo di Palermo.

“Lo studio – ha spiegato Giovanna Rossi – ha evidenziato come l’attivazione di queste partnership produca capitale sociale ovvero rapporti fiduciari tra persone in funzione del perseguimento di un bene condiviso. Inoltre incentiva azioni tese a rispondere a un bisogno complesso socialmente rilevante, le cosiddette ‘buone pratiche’. L’analisi di queste partnership, innovative ed efficaci, ha però evidenziato anche alcune criticità: la tendenza di una deriva privatistica che mette a rischio la possibilità di mettere a punto strategie di lungo periodo e la difficoltà di reperire risorse umane, finanziarie e materiali”.

Stefano Zamagni, Presidente dell’Agenzia per le Onlus, ha sottolineato l’importante contributo che può arrivare dal Terzo settore: “ Viaggiando su tutto il territorio nazionale ho notato che vi è la difficoltà di superare lo scoglio dovuto alla diversità culturale. Un ostacolo che deve essere rimosso perché la diversità è un valore importante. La sfida è quella di far evolvere il terzo settore senza snaturarlo. E’ chiaro che per poter recitare un ruolo esso deve portare un contributo specifico, innovativo, ma le potenzialità ci sono tutte”.

“Anche lo Stato dovrebbe fare la sua parte - ha puntualizzato Adriano Propersi, docente di Economia e gestione delle amministrazioni pubbliche e delle organizzazioni no profit all’Università Cattolica di Milano e consigliere dell’Agenzia per le Onlus - “Il Terzo settore dovrebbe ‘ribellarsi’ all’attuale situazione normativa che lo limita con lacci e lacciuoli. Si pensi ad esempio alla legge che vieta a un’associazione che ha tra i suoi partecipanti un ente pubblico di diventare una Onlus. Un’impostazione sbagliata che andrebbe cambiata perché penalizza l’utilissima collaborazione fra pubblico e privato. Purtroppo l’ente competente a riguardo, l’Agenzia delle Entrate, ha decisamente altre priorità e la situazione delle Onlus, per un motivo o per l’altro, è sempre in fondo all’agenda. Tutto ciò non deve però scoraggiare la creazione di nuove partnership. Occorre tuttavia migliorare dal punto di vista della trasparenza e della rendicontazione – prosegue Propersi – perché insieme al bilancio d’esercizio non bisognerebbe mai dimenticare di tracciare anche il bilancio sociale. Se il primo spesso è molto elementare il secondo è importante e rende giustizia al valore del progetto poiché documenta ciò che è stato fatto e quanti volontari vi hanno preso parte. Un lavoro fondamentale per poter chiedere fondi e dare continuità al progetto”.