Alessandro RosinaL’ ITALIA DEL 1861 e quella di oggi appartengono a due mondi molto diversi. Le condizioni di vita della popolazione ai tempi di Garibaldi e Cavour erano, sotto molti punti di vista, molto più simili a quelle di Dante e dei secoli precedenti rispetto a quelle di oggi. Si facevano molti figli, ma meno della metà raggiungeva l’età dei genitori. La mortalità infantile era particolarmente elevata e la durata media di vita superava di poco i 30 anni. Valori del tutto normali per l’epoca e in linea con le condizioni di vita che da sempre avevano caratterizzato la storia umana, dalle prime civiltà del Neolitico fino ai tempi dell’Unità d’Italia, appunto.

Possiamo aggiungere che oltre tre abitanti della neonata nazione su quattro erano analfabeti, che l’economia era quasi esclusivamente agricola, che la statura media dei coscritti era di 163 centimetri. Un abisso separa quel mondo da quello di oggi. Degli indicatori citati quello variato meno è la statura, elevatasi comunque di oltre dieci centimetri. La durata media di vita è invece aumentata di due volte e mezzo. La mortalità infantile è stata ridotta da condizione comune ad evento molto raro. La dimensione media delle famiglie si è più che dimezzata.

Il processo che sta alla base di tutte queste grandi trasformazioni è iniziato nel nostro Paese con qualche decennio di ritardo rispetto al resto dell’Europa occidentale. Colmato il ritardo l’Italia ha poi spinto alcuni cambiamenti all’estremo. In senso positivo se si pensa alla longevità, ma anche in negativo se si considera la persistente bassa natalità. Una delle implicazioni è l’accentuato squilibrio generazionale. Sono aumentati gli anziani ma ancor più sono diminuiti i giovani. Dalla fine degli anni Settanta ad oggi abbiamo perso quasi tre milioni di degiovanimento” non solo quantitativo. Si è infatti ridotto il peso strategico dei giovani in ogni ambito della vita sociale, economica e politica. Rimettere in moto le nuove generazioni è ora la vera sfida dell’Italia matura del XXI secolo.