Gianni Rodari, autore per bambini ma anche e soprattutto intellettuale e giornalista impegnato. È poliedrica l’immagine dello scrittore che emerge dal convegno che gli ha dedicato la sede bresciana della Cattolica lo scorso 12 novembre. Da più voci è venuto l’invito a non scindere la produzione di Rodari dal suo ambiente e dalla sua formazione, per evitare il rischio, come indica Pino Boero, di «museificazione degli autori della letteratura dell’infanzia». Luciano Caimi, promotore dell’iniziativa “Gianni Rodari: sguardi ed esplorazioni”, parla di un Rodari bambino prima a Omegna e poi a Gavirate, dove la famiglia si trasferisce in seguito alla morte del padre, che avviene quando Gianni ha solo 9 anni. Tra gli studi ginnasiali-magistrali e l’insegnamento, si inseriscono i sui suoi impegni civili: il primo all’interno dell’Azione Cattolica dal 1935 al 1937, con l’incarico di presidente del circolo a Gavirate, e il secondo all’interno del Partito Comunista, a partire dall’estate del 1945.

Del Rodari militante si occupa Fabio Pruneri, che con l’aiuto del libro di Marcello Venturi in “Sdraiati sulla linea: come si viveva nel Pci di Togliatti”, ricostruisce l’esperienza comunista dello scrittore, come giornalista prima dell’Unità (fino al 1947), poi nel Pioniere, di cui fu direttore dal 1950. Rodari rimane comunque distante dai temi dell’estrema sinistra e il suo rapporto con il partito sembra inclinarsi in due momenti specifici: nel 1958 quando passa a lavorare per Paese sera, giornale politico non partitico, e nel 1964 con l’articolo “Nove modi per insegnare ai ragazzi a odiare la lettura”, dove i primi quattro punti sembrano quasi una critica all’ideologia del comunismo.

Sul versante della produzione, Sabrina Fava struttura l’analisi della creatività di Rodari attraverso tre percorsi significativi: “l’insalata di favole”, “scrittura per contaminazione” e “binomio fantastico”. Il primo percorso riguarda le fiabe in versi degli anni ’50, fortemente legate per il contenuto, reinventato in chiave moderna, alle favole dei fratelli Grimm e di Anderson, e per lo stile, in versi endecasillabi e settenari con una rima precisa ed esatta, a Tofano. Nel secondo si analizza la genesi di due sue poesie molto famose: “Pinocchio” del 1974 e “Che cosa ci vuole” del 1972, nate sulle pagine del Pioniere quasi un ventennio prima della loro pubblicazione. La prima dalla sollecitazione di un dibattito culturale sulla statua di Pinocchio nel parco Fantasia di Collodi e l’altra dalla traduzione di un testo russo “Da cosa nasce il tavolo”. Il terzo momento si concentra su un aspetto molto importante per Rodari, il binomio fantastico o duello di parole, già presente nel 1943 e poi approfondito ulteriormente nella “Grammatica della fantasia” del 1973. Sulle pagine del Pioniere si trova una grande riflessione sui meccanismi del comporre; in particolare Rodari scrive nel 1953 un articolo nel quale dialoga con i lettori per costruire una storia che abbia per protagonisti una formica e un elefante, secondo la formula del binomio fantastico. Altra tecnica affine all’idea del lettore-bambino come costruttore di storie è il testo con il finale aperto. Un esempio è il testo teatrale “Caccia a Nerone” del 1965.

Ma è l’intervento di Pino Boero a sottrarre Rodari alle “piccole icone di autore per bambini”, ponendo l’attenzione sugli aspetti più “colti” ripresi con istanze della cultura popolare, come il tema della destrutturazione del corpo e in particolare del naso, che viene articolato in modo paradossale e fantastico in molti dei suoi racconti. Boero ricorda poi aspetti meno conosciuti della produzione rodariana, come poesie scritte nel dialetto di Gavirate e un componimento poetico dedicato al padre, pubblicato nel diario postumo “Giochi nell’Urss, appunti di viaggio”.

Alla fortuna di Rodari fuori dai confini nazionali è dedicato l’intervento di Sylvie Martin-Mercier che ha parlato della positiva accoglienza ricevuta oggi in Francia: un dato abbastanza paradossale, perché pur essendo l’autore per l’infanzia più conosciuto, è poco letto dai bambini. Ad amarlo sono in particolar modo i bibliotecari, anche se sono soltanto 37 le sue opere tradotte in francese, pubblicate non solo con molti anni di differenza, ma anche mutilate (è il caso delle “Favole al telefono”) o adattate ai luoghi francesi con effetti di straniamento. A suggello del convegno, non poteva mancare l’ascolto di filastrocche e racconti di Rodari, abilmente interpretate da Gaetano Oliva.