La primavera araba, le manifestazioni di piazza Tahrir, la crisi libica. Sono gli eventi che nell’ultimo anno hanno stravolto il panorama politico e istituzionale dell’intero Nord Africa e non solo. Una rivoluzione nata dal basso, che ha visto in prima fila i movimenti femminili, al grido di “Rights and freedom”, ma soprattutto i giovani, che discutevano di politica sui social networks e organizzavano le manifestazioni via Twitter. Un processo di democratizzazione esploso con forza, che «ha preso a modello l’altra sponda del Mediterraneo, facendo propri quei valori che vedevano vivi nel continente europeo». È questa l’idea del professor Alberto Tonini, docente di Storia del sistema internazionale alla facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri” di Firenze, e presidente del Forum per i problemi della pace e della guerra, intervenuto ieri all’incontro dal titolo: “Società civile e cooperazione decentrata nelle nuove sfide dell’Africa”. Un’occasione per riflettere sui possibili sviluppi dello scenario nordafricano. Ma soprattutto un momento di studio, a partire dal concetto di società civile e di cooperazione decentrata. Insieme a Tonini, e al direttore del dipartimento di Scienze Politiche dell’università Cattolica, Massimo De Leonardis, la professoressa Beatrice Nicolini, docente di Storia e istituzioni dell’Africa.

«Per spiegare i cambiamenti in atto - ha spiegato il professor Tonini - non si può prescindere dallo sviluppo della popolazione nordafricana, che negli ultimi vent’anni è andata acquistando una forza e un’autonomia mai sperimentate prima». La società civile, infatti, è premessa e garanzia per la democrazia, perché attraverso la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, rende possibile il dialogo istituzionale. Una considerazione - secondo il professore -, apparentemente scontata in Paesi come il nostro ma che rappresenta «una vera conquista» per la sponda sud del Mediterraneo, dove le dinamiche sociali faticano a trovare un terreno di confronto: «Un esempio viene dalla Tunisia e dal Marocco, dove molto spesso le organizzazioni della società civile erano manovrate dai gruppi di potere, o dall’Egitto, dove le associazioni e i gruppi sociali potevano essere abrogati da un giorno all’altro, a discrezione del governo».

Per questo, è importante che l’Europa continui ad essere un modello d’ispirazione per i popoli nordafricani, come ha sottolineato la professoressa Nicolini. «Ricordandosi che la democrazia non nasce con un colpo di mano, ma è un cammino che chiede l’impegno di tutti». A partire dalle comunità locali. Che attraverso partnership e progetti di cooperazione decentrata, possono favorire lo sviluppo democratico di quelle regioni che ancora soffrono per la mancanza di spazi di dialogo. «Negli ultimi anni l’Italia ha tagliato il 45% degli investimenti per la cooperazione internazionale, ha spiegato Tonini. «Con solo 179 milioni di euro abbiamo toccato il minimo storico degli ultimi vent’anni». Ma non è questa la direzione. La distanza tra le due sponde del Mediterraneo è ancora abissale, ma si può colmare a partire da valori comuni. «Se si guarda al processo di pace può sembrare che il partenariato euro-mediterraneo e il Processo di Barcellona abbiano fallito. Non è così: l’Unione Europea ha ancora molte carte da giocare e non può permettersi di girare lo sguardo».