Giovanni GobberL’ITALIANO NASCE come Kultursprache: è riconosciuta come lingua per il prestigio di una tradizione culturale, quella delle “tre corone” toscane. Nei secoli che precedono la formazione del Regno, si diffonde come lingua della scrittura, dapprima soprattutto per i generi letterari, poi, abbandonato il latino, anche per i documenti giuridici e burocratico-amministrativi. Per secoli, la comunicazione orale avveniva per lo più in dialetto. La grande maggioranza del popolo era analfabeta e non aveva accesso allo scritto: gli italòfoni erano circa il 9,5 per cento della popolazione.

Ancora nel 1861, si ritiene che gli analfabeti costituissero circa il 75 per cento della popolazione. La storia del Regno e poi della Repubblica è segnata infatti dalla lenta acquisizione prima della competenza passiva della lingua, poi di quella attiva (la capacità di produrre testi scritti e orali in italiano). A favorirne la diffusione sono stati vari fattori: l’istruzione, l’immigrazione interna, la diffusione della stampa e dei mezzi di comunicazione, il servizio militare, ma, soprattutto, la partecipazione alla vita politica e sociale dello Stato democratico.

Oggi, una percentuale esigua (circa il 7 per cento, secondo alcune ricerche) non sa o non usa l’italiano, ma solo il dialetto. La maggioranza relativa della popolazione italòfona sa e usa sia l’italiano sia il dialetto; una minoranza ampia non sa e non usa il dialetto, ma solo l’italiano. Nella storia dell’Italia unita, infatti, la lingua è “scesa” verso il basso: ha sottratto spazi ai dialetti nel parlato quotidiano, mentre riserva per sé gli usi “alti”. Tale tendenza ha comportato lo sviluppo delle varietà regionali di italiano, che si collocano nella dinamica fra lingua e dialetto. Se nella dimensione scritta la distanza regionale è ridotta, nella varietà orale emerge una notevole differenza, soprattutto nella fonetica.

A 150 anni dall’unità del Paese, l’italiano standard è modello di riferimento, cui corrispondono le varietà d’italiano regionale, che in parte accolgono elementi dei dialetti primari, in parte rielaborano in modo originale il rapporto fra lingua e dialetto: le due varietà si influenzano a vicenda, producendo ulteriori s o tto-varietà. Per questa via, nuove forme di dialetto, sviluppate dall’italiano regionale si affiancano agli sviluppi dei dialetti primari, soprattutto nel lessico: in molti casi, dialett i “vecchi”, italianizzati, e “nuovi”, sorti dalla diffusione, come varietà orale, dell’italiano regionale, coesistono e quasi non si distinguono.