Silvia Toffanin all'inaugurazione della mostra "Italian Students"La vita da studente all’università è unica e irripetibile, al punto che non vale la pena perder tempo a raccontarla mentre la stai ancora vivendo. Per farlo ti serve un percorso netto: studente, professore, e devi essere allacciato al rubinetto della narrazione. Con le immagini, come il fotografo italo-statunitense William Willinghton. O con le parole, come il professor Aldo Grasso. Uno di 31 anni, l’altro di 61. Uno professionista in ascesa, l’altro critico televisivo affermato. Ma insieme, rappresentano un dialogo immaginario degli ultimi 40 anni: quello tra gli studenti e l’Università Cattolica. Il risultato è “Italian Students”, mostra fotografica inaugurata il 28 ottobre nel cortile d'onore dell’Università nonché raccolta fotografica, istoriata dai testi dell’ex allievo Aldo Grasso, ora docente di Storia della radio e della televisione alla facoltà di Scienze linguistiche.

Un anno con gli studenti della Cattolica attraverso le immagini raccolte dal fotografo. Presentata dagli autori, dal rettore e da un’altra ex eccellente, Silvia Toffanin. Willinghton a dispetto del nome è italianissimo, anche se multietnico come pochi. Anche lui vanta studi in Cattolica, laureato in Lettere Moderne, insegna Storia della fotografia, anni dopo aver cominciato a fotografare con la sorpresina trovata in un uovo di Pasqua. «Quando ero in giro per l’Università, mi era venuto in mente di raccontare la vita degli studenti. Avevo scattato delle foto, ma non mi piacevano. Poi tre anni fa, mi sono accorto che potevo raccontarla da fotografo di reportage, facendolo dall’interno, ma con distacco. Il risultato è una visione che non avevo considerato all’inizio: lo studente delocalizzato, fuori dalle aule e dai corridoi, in treno, a casa o in lavanderia».

Una delle immagini del volume e della mostra "Italian Students"«La contemporaneità della vostra vita di studenti che viene innalzata ad arte», dice il rettore Lorenzo Ornaghi. Da un lato l’anima di uno studente qualsiasi che non è più studente; dall’altro i ricordi e i sentimenti che si posano sulle pareti della vita: sembrano persi perché dimenticati, e invece tornano improvvisamente a danzarci intorno, riaccesi da un corto circuito nell’orologio della nostra anima. Rivivono in altri: ognuno una vita unica, ma le nostre stesse sensazioni. «La nostra esistenza è un viaggio in treno, dal finestrino non badiamo più al paesaggio - scrive Aldo Grasso -. L’abitudine si mangia tutto: i luoghi, i ricordi, le facce, i dischi di Little Tony. Basta poi un attimo ed è come se rivedessimo tutto per la prima volta. A me è successo con questo lavoro su foto in bianco e nero. Ti si riaccende la curiosità, per quel chiostro percorso con gioia o rabbia. Vorresti conoscere la vita delle persone in foto. Noi apparteniamo alla storia degli umili come diceva Manzoni, storia fatta di piccole cose. Per me non c’è stato più luogo che questo: fisico, compatto. Un luogo fermo, che aspetta». «In qualche maniera sono tornato studente - sottolinea Willinghton - ed è un’esperienza salutare, ti fa stare con i piedi per terra. La cosa più divertente per me è stato conoscere tutte queste persone e vivere un po’ le loro vite». Quale foto avrebbe voluto scattare e non è riuscito? «Una ragazza che rincorreva il treno alla stazione, e ha perso tutti i libri. L’ho scattata, ma non era come volevo. La macchina fotografica è irrazionale, devi essere fortunato».

La nostalgia di chi è stato studente, o avrebbe voluto esserlo di più. Tant’è che Silvia Toffanin, che pure non vive una vita propriamente comune, mostra rimpianto: «A me sarebbe piaciuto vivere le giornate da studente più che la mia carriera. Stare in biblioteca, ma anche solo scambiarsi appunti con le amiche. Quelle poche volte che riuscivo a esserci, sentivo un’atmosfera di famiglia, proprio la voglia di studiare».

La nostalgia ma anche l’ansia di un futuro da costruire. Aldo Grasso ricorda i suoi timori e i suoi sogni di ragazzo del cuneese sbarcato a Milano per l'università. Silvia Toffanin nella giovialità del cocktail rivela: «Una ragazza m’ha fermato: “Silvia, sono al primo anno di università. È difficile?”. Ma va là, le ho risposto, se ce l’ho fatta io puoi farcela anche tu».

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