Un seminario e una raccolta di saggi per riflettere sul rapporto tra immigrazione straniera, regimi e pratiche della cittadinanza. Il 2013 è infatti l'anno che il Parlamento Europeo e il Consiglio hanno voluto dedicare ai cittadini, al fine «di rafforzare la consapevolezza e la conoscenza dei diritti e delle responsabilità connessi alla cittadinanza dell'Unione». I saggi sono stati presentati il 1° marzo in largo Gemelli, con una serie di interventi, a loro volta una selezione delle lezioni tenute in occasione della terza edizione della Summer School "Mobilità umana e giustizia globale", promossa dalla facoltà di Sociologia dell'Università Cattolica in collaborazione con lo Scalabrini International Migration Institute, l'Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo, il Centro Studi Emigrazione e con il sostegno della Fondazione Migrantes, svoltasi a Roma dal 16 al 19 luglio 2012.

I circa cinque milioni di stranieri stabilmente residenti in Italia e, al loro interno, gli oltre un milione di minori stranieri - circa la metà dei quali nati sul suolo italico - pongono alla nostra società, una serie di interrogativi cruciali; interrogativi in grado di rimettere in discussione i principi basilari che regolano l'appartenenza a uno Stato nazione e l'accesso ai diritti e alle opportunità che tale appartenenza garantisce. Quali sono i criteri "giusti" per disciplinare l'acquisizione della cittadinanza - o, detto in altri termini, i criteri giusti per trasformare uno straniero in cittadino -? Quali diritti di cittadinanza devono essere estesi anche ai non cittadini? Fino a che punto i regimi democratici contemporanei possono tollerare la presenza di residenti stranieri esclusi dalla totalità dei diritti sui quali si fonda il loro fondamento democratico? E fino a che punto possono ammettere diritti e trattamenti giuridici differenziati, che in qualche misura riconoscano l'eterogeneità etnica, culturale e religiosa della loro popolazione? E, ancora, è giusto che uno straniero che si naturalizza mantenga al contempo la propria nazionalità d'origine? Ed è giusto che i discendenti dell'emigrazione continuino, anche dopo diverse generazioni, ad essere intestatari dei diritti e delle prerogative riservati ai cittadini?

Peraltro, il titolo del seminario e della raccolta di saggi, "Costruire Cittadinanza per promuovere Convivenza", chiarisce immediatamente come la cittadinanza non è un attributo ascritto o addirittura innato, come pretende di affermare l'ideologia nazionalistica, bensì qualcosa che si costruisce politicamente e socialmente e che è stato definito, nel corso della storia, in modi diversi. La cittadinanza, al contempo, non è solo accordata per via politica e istituzionale, ma si costruisce nell'interazione quotidiana, spesso partendo dal "basso", e spesso attraverso l'iniziativa di soggetti "esclusi" che, attivandosi per la loro emancipazione, concorrono a definire una nuova idea di bene comune. La cittadinanza, infine, non è solo una questione politica, ma prima ancora culturale, che esprime simboli, attese e significati, e che richiede, specie in taluni frangenti storici, una puntuale azione di educazione alla cittadinanza.

Nel primo intervento Fabio Baggio, preside dello Scalabrini International Migration Institute e co-direttore della scuola, ha proposto un excursus storico dell'evoluzione del concetto di cittadinanza, a partire dalla comparsa delle prime civilizzazioni fino alla Rivoluzione francese, per arrivare a identificare alcuni elementi essenziali della cittadinanza: la residenza stabile - che si rispecchia nel principio dello jus soli -, l'appartenenza, l'identità, la libertà, il principio di discendenza, ma anche il diritto di proprietà, la partecipazione e lo stato giuridico.

Laura Zanfrini, direttore scientifico della summer school, ha invece illustrato come il processo di globalizzazione - con la crescente rilevanza delle interdipendenze a livello internazionale - e l'accelerazione della mobilità umana - con l'aumento del numero dei migranti internazionali -  hanno obbligato gli Stati nazionali a ripensare a questo istituto "nazionalistico". Dopo aver descritto i differenti significati e dimensioni della cittadinanza - uno strumento che garantisce l'accesso ai diritti civili, politici e sociali, ma anche una fonte di identificazione collettiva e un mezzo di partecipazione -, la professoressa Zanfrini è passata a descrivere le principali "soluzioni" proposte per risolvere il problema dell'inclusione dei migranti stranieri. Oltre alla riforma dei criteri per l'ottenimento della cittadinanza del paese d'immigrazione, nuovi "tipi" di cittadinanza sono stati introdotti o proposti con l'intento di risolvere i limiti di un istituto nazionale nello scenario di un mondo sempre più "globale": dalla denizenship alla cittadinanza sopranazionale, fino a quella post-nazionale. Ulteriori soluzioni prospettate mirano, a loro volta, a soddisfare bisogni specifici della popolazione con un retroterra migratorio, quali il bisogno di vedersi riconosciuti diritti speciali - o "etnici" -, in coerenza con la prospettiva della cittadinanza multiculturale, o quello di mantenere in vita il legame materiale e simbolico col paese d'origine, secondo quella della cittadinanza transnazionale. Ma soprattutto, ha sottolineato direttrice della summer school, ciò che è necessario è andare oltre gli approcci meramente procedurali o ideologici, prendendo in considerazione il significato profondo della cittadinanza e suggerendo l'opportunità di investire in azioni di tipo educativo rivolte alle comunità immigrate (ma non solo a loro), sollecitando al contempo il complesso della società a fare dell'immigrazione un'occasione per ripensare a questo fondamentale istituto.

Da una prospettiva filosofica, Paolo Gomarasca, ricercatore della facoltà di Scienze politiche e sociali dell'Università Cattolica, ha offerto una lettura critica di due interpretazioni alternative e contrapposte della cittadinanza. Da un lato quella che la rappresenta come un "sistema di sicurezza", fondato su un meccanismo di inclusione/esclusione che ha la finalità di "proteggere" i nazionali dal contatto con gli stranieri. Il risultato di questa discriminazione politica è una forma paradossale di segregazione spaziale dei migranti, inclusi nel territorio dello Stato, ma esclusi dal punto di vista del riconoscimento, riservato in via esclusiva ai primi. Dall'altro lato, la concezione cosmopolita della cittadinanza, intesa qui come una soluzione agli effetti generati dalla prima interpretazione. La tesi cosmopolita è semplice: non vi è alcuna forma di segregazione perché ogni persona che vive sul pianeta, in quanto essere umano, ha il diritto di essere un cittadino del mondo. In realtà, piuttosto che l'auspicato regno dell'uguale rispetto per tutti, ci è dato constatare come, a livello globale, soltanto i migranti altamente qualificati godono dello status di cittadino. Gli altri, classificati alla stregua di entità non redditizie, si ritrovano ancora una volta esclusi. Infine, Gomarasca ha tentato di tracciare un concetto di cittadinanza a partire dall'esperienza brasiliana degli slum: la posta in gioco è la possibilità di costruire una cittadinanza dal basso, partendo dalla società civile per arrivare al vertice delle istituzioni. Il che implica ripensare la cittadinanza quale risultato della pratica di partecipazione, incorporata in uno spazio urbano e vista come un diritto fondamentale di difendersi dalla segregazione. Nella prospettiva di questo "diritto alla città" ogni persona, autoctona o immigrata, ha l'opportunità politica di contribuire a definire il significato dell'essere cittadino in una società plurale.

Monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, ha fatto osservare come parlare di cittadinanza oggi, anche in relazione al fenomeno dell'immigrazione, significa anzitutto procedere a una sorta di risemantizzazione dello stesso termine dentro una prospettiva storica cristiana. Una risemantizzazione che rilegge la cittadinanza a partire da tre luoghi, tre appartenenze: quella locale, data da una comunità coesa per lingua, tradizione, stili di vita; quella nazionale ed europea, diremmo nata dalla modernità, dove contano alcune regole, alcune istituzioni comuni di riferimento; quella mondiale, ovverossia quella dell'uomo planetario, della fraternità, che fa valere soprattutto la dignità e l'umanità comune tra i diversi popoli, dentro un processo complesso di dialogo, accordo, scambio che mira a costruire un "ordine internazionale". Una risemantizzazione, ancora, che intesse e struttura anche la realtà della Chiesa che, pure in questo, si mostra coerente con la storia sociale dell'umanità. Nella ricca riflessione proposta, monsignor Perego ha illustrato le molteplici implicazioni, per una pastorale della cittadinanza, che si ricavano da tale risemantizzazione. Ma, soprattutto, ha ricordato come occorra affrontare le sfide dell'immigrazione non solo sul piano degli interventi caritativi ed emergenziali, ma anche e soprattutto su quello educativo, culturale e pastorale, affinché si pongano le condizioni di quel "vivere insieme", principale obiettivo da perseguire di fronte all'attuale fenomeno migratorio. In questa prospettiva, la cittadinanza è un passaggio fondamentale nella direzione che porta a una società partecipativa, interculturale, ove le diverse culture e religioni non devono semplicemente tollerarsi, ma, nel dialogo, convivere in un processo d'integrazione che sia di arricchimento reciproco, secondo il modello della "convivialità delle differenze". La qualità non solo della democrazia, ma altresì della comunione ecclesiale, si misura anche attraverso la qualità della cittadinanza, come luogo di crescita del bene comune - da una parte - e della fraternità dall'altra.