Luigi Gui è morto il 26 aprile a Padova, dove era nato nel 1914. Si laureò nel 1937 in Filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Fu eletto poi deputato all'Assemblea Costituente. Negli anni '60 fu ministro della Pubblica Istruzione, della Difesa e, nel '74, della Sanità. Da novembre '74 a febbraio '76 fu ministro dell'Interno. Nel numero 4 luglio-agosto 2008 “Presenza” lo aveva intervistato per la rubrica “Intervista con la storia”. Una storia che riproponiamo in occasione della sua scomparsa.


 

di Ornella Sinigaglia

Luigi Gui durante la visita a una scuolaAi più giovani il nome di Luigi Gui, forse, non dice molto, ma quest'uomo di 93 anni ha alle sue spalle un lungo pezzo della politica italiana. Membro dell'Assemblea costituente e autore della più organica riforma scolastica - quella che ha istituito la scuola media unica -, è stato un testimone d'eccezione del '68. Mentre gli studenti diffondevano gli ideali rivoluzionari e occupavano gli atenei, Gui firmava la legge di riforma dell'università, una legge che non sarebbe mai stata approvata dal Parlamento. E qualche anno dopo, il suo nome è stato associato allo scandalo Lockheed, dal quale è uscito assolto con formula piena dopo un processo durato tre anni.

Oggi Luigi Gui vive a Padova in un attico dietro al Duomo, senza l'af­fetto della moglie Alessandra Volpi, scomparsa da qualche anno. Ma accanto a lui ha uno dei figli, Benedetto, economista all'Università di Padova. Sono i figli e le loro famiglie, infatti, a custodire i ricordi di questo veneto tutto d'un pezzo, studente all'Università Cattolica negli anni Trenta, protagonista della Resistenza quindi deputato e ministro in diversi dicasteri dal 1954 al 1976.

Gui inizia a raccontare della sua esperienza all'Università Cattolica di Milano partendo dagli anni da liceale al Tito Livio di Padova, durante i quali matura il suo interesse per la politica. Sono anni particolari, soprattutto per chi ha umili origini e non è allineato al fascismo. «Mia madre faceva la sarta in casa, mio padre era operaio linotipista alla tipografia vescovile, dove si stampava La difesa del popolo». Nato un secolo fa, il settimanale della diocesi padovana aveva una forte connota­zione sociale, nel solco della dottrina cattolica. Scopo dichiarato era la difesa del popolo dagli «errori continuamente divulgati per strappargli dal cuore e dalla mente la fede». Proprio perché non favorevole al regime fascista, la stamperia viene devastata nel 1926. «Abitavamo fuori porta San Giovanni, sulla strada che dal centro porta verso i Colli Euganei - prosegue Gui -. Tutti i giorni uscivo con mio padre, io per andare al liceo e lui verso la tipografia. Una mattina, all'angolo tra via Vescovado e via Dietro Duomo, troviamo tutti i macchinari in mezzo alla strada. Erano stati gli squadristi».

Il liceo classico è per pochi, ma i buoni risultati permettono a Gui di vincere una crociera premio nel Mediterraneo orientale organizzata dall'Opera Nazionale Balilla. Ci vuole un po' di tempo prima di accettare di partire per quel viaggio, che in compenso gli permette di conoscere luoghi straordinari in Grecia, a Rodi, in Turchia, Palestina e in Egitto. Nel 1933 arriva il diploma: «Avevo finito bene il liceo, trai primi». I pieni voti gli fruttano una borsa di studio per l'Università Cattolica di Milano, messa a disposizione da un concitta­dino che sostiene la "causa" dell' ate­neo fondato nel 1921 da padre Agostino Gemelli. Di nuovo, Gui compie un cammino diverso da quello prestabilito dalle sue origini: «Non era comune, all'epoca, lasciare Padova, città universitaria, per andare a studiare a Milano - racconta -. Ovviamente tornavo a casa di rado, era un bel viaggio. Quando sono arrivato a Milano, la sede di largo Gemelli doveva ancora essere completata. Era tutta un'altra città, si girava comple­tamente in tram. Malgrado il regime fascista, l'Università Cattolica era un ambiente "protetto" dove si poteva studiare liberamente».

Intanto Gui fa amicizia con altri studenti. All'Augustinianum, dove alloggia, lega con Giuseppe Dossetti, futura colonna della Democrazia cristiana. Dossetti è a Milano per un corso di perfezionamento, ed è tramite lui che Gui, studente di filosofia, entra in contatto con Amintore Fanfani, laureato in Cattolica e titolare della cattedra di Storia economica dal 1936. Gui però ha anche occasione di entrare direttamente in contatto con padre Gemelli. «Col tempo ero riuscito ad avere una certa confidenza, perché era direttore del collegio dove vivevo - ricorda -. Effettivamente aveva un temperamento duro, ma manteneva il contatto con gli studenti. Organizzava riunioni nelle quali ci parlava a lungo. Ma gli incontri personali erano rarissimi e non affrontavamo questioni politiche: era pru­dente, doveva evitare le reazioni amministrative o violente degli squadristi» .

Dopo la laurea nel 1937, Luigi Gui partecipa ai littoriali del 1939 nella sezione Politica estera e coglie l'occasione per esprimere le sue posizioni politiche, dichiarandosi contrario alla partecipazione dell'Italia alla guerra. Con la guerra viene anche la chiamata alle armi. Tenente negli alpini, dopo l'armistizio si rifugia nella zona del Monte Grappa. Ma su questa parte della sua vita Gui non si sofferma a lungo. Parla invece della Costituente, ricordandola come il momento del suo ingresso nella politica e del trasferimento a Roma con la famiglia. Sono anni in cui gira l'Italia, quelli delle convergenze parallele della Democrazia cristiana di Aldo Moro, con il quale Gui ha stretto un legame particolare già dal 1946. Prima fa il sottosegretario all'Agricoltura, poi ministro dell’Istruzione dal 1962 al 1968, quindi è a capo della Difesa, della Sanità e dell'Interno. «La Costituzione prevedeva l'obbligo scolastico fino ai 14 anni, ma non c'erano scuole - spiega - . Chi arrivava alla quinta elementare poteva scegliere se fare le scuole di avviamento professionale, le post-elementari sperimentali oppure il triennio propedeutico al liceo». Vista con gli occhi di oggi,la riforma scolastica può sembrare una semplice riorganizzazione, ma all'epoca porta sui banchi migliaia di babyboomer nati nel dopoguerra. «Si andava a lavorare presto - ricorda -, molti non finivano neanche le elementari: erano gli anni della ricostruzione. Era difficile convincere i genitori a far studiare i figli. Un po' come era successo un secolo prima con la riforma Casati. Per sostituire il lavoro dei giovani con quello delle donne era necessario sollevarle dall'educazione dei più piccoli - osserva l'ex ministro -. Nella mia riforma c'era anche l'istituzione della scuola materna: prima c'erano solo strutture private, quasi sempre cattoliche, che si prendevano cura dei più piccoli».

Gui mantiene il ministero nonostante l'avvicendarsi di diversi capi di governo, e nel 1965 porta alla Camera un progetto di legge che riforma l'università italiana. «Gli atenei erano cresciuti - ricorda -: a Roma, "La Sapienza" era una città nella città con migliaia di iscritti ed era governa­ta da baroni. Era necessario fare qualcosa per ridurne le dimensioni e contrastare il clientelismo». Ma la “2314", dal numero del testo stampato alla Camera, è una legge che non sopravvive alla caduta del governo nel 1968. In compenso scatena un dibattito molto acceso in entrambi i rami del Parlamento. «I lavori alla Camera andarono per le lunghe - ricorda -, l'approvazione fu rimandata all'inizio del '68, ma il governo cadde prima della votazione di tutti gli articoli, e la mia riforma rimase incompiuta». Riassume così quel periodo, Luigi Gui, ancora rammaricato. Nessun riferimento alle contestazioni studentesche, solo il ricordo dell'opposizione di molti colleghi e soprattutto dei docenti universitari: «Doveva essere una riforma all'avanguardia - conclude -, ma forse lo fu troppo, e molti non la capirono». In particolare gli studenti, che nel febbraio del 1967, occupano le università per protestare contro il "piano Gui". Non è l'unica occupazione organizzata contro il suo disegno di legge: lo stesso anno a Firenze, e l'anno successivo a Padova e Milano, gli universitari indicono manifestazioni contro la sua riforma, e nei cortei lo slogan ricorrente diventa Gui, Gui, tempi bui.

Del presente Gui parla poco. Se gli si domanda della riforma che istituisce il 3+2, quella che ha introdotto le lauree brevi e l'autonomia didattica degli atenei, risponde laconico di non aver avuto ancora occasione di leggere il testo della legge. Eppure, proprio uno dei nipoti ha iniziato l'università con il nuovo corso. Gui però preferisce non entrare nel dettaglio. Gli anni dopo il '68 sono carichi di eventi, pesanti. Moro nominò Gui ministro dell'Interno. Il fatto più grave, quello che ha segnato la sua carriera, è lo scandalo sulla fornitura Lockheed-Martin all'aviazione italiana. Una ferita chiusa, ma di cui non è facile parlare. Durante il suo ministero, infatti, viene firmato un accordo che avrebbe voluto come contrappeso occulto il pagamento di tangenti ai vertici del dicastero. Quando monta lo scandalo, Moro difende il suo gabinetto e la Democrazia cristiana con un discorso di due ore in Parlamento. «Non ci faremo processare nelle piazze», è la frase che passa ai libri di storia. Paradossalmente, per la famiglia gli anni del processo sono una parentesi felice. Gui sceglie di dimettersi dagli incarichi istituzionali per concentrarsi unicamente sul processo. Per la prima volta da quando è entrato in politica, passa molto tempo in famiglia. Dopo l'assoluzione per non aver commesso il fatto, Gui viene eletto prima deputato e poi senatore. Nel 1983 esce dalla politica, mentre la Democrazia Cristiana inizia quell'agonia che dieci anni dopo la porterà allo scioglimento. Nel 1980 interviene al congresso nazionale del partito con un discorso sulla linea di Aldo Moro. Alla domanda sul ricordo che ne conserva, Gui si ferma. Davanti ai suoi occhi c'è qualcosa che non vuole descrivere, appena un velo di lacrime. «Moro voleva avvicinare la sinistra non per aprirle il partito, ma per assorbirla», si compiace con un ultimo lampo di sorriso.

Il ricordo del professor Fulvio De Giorgi su "Avvenire" ( KB)