Marco Mancini, presidente della Crui, e Lorenzo Ornaghi, rettore dell'Università Cattolica. Milano 28 settembre 2011. Aula pio XIL’università italiana è uno dei pochi enti pubblici che ha deciso di aprirsi alla valutazione della propria attività, sulla base della quale ripartire i finanziamenti. Una punta di eccellenza nell’ambito della pubblica amministrazione. Da quest’anno l’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), organo super partes insediatosi nel 2010 su decreto ministeriale, istituito sulla base di standard qualitativi di livello internazionale, definisce i nuovi parametri di valutazione della ricerca universitaria. Un tema che suscita molto interesse nel mondo accademico, come ha testimoniato la grande adesione di docenti e ricercatori alla giornata che l’ateneo ha dedicato a questi temi lo scorso 28 settembre. Si decideranno infatti l’avanzamento di carriera dei docenti (assistenti, ricercatori, associati e ordinari) e la ripartizione dei finanziamenti pubblici tra gli atenei e tra i diversi settori disciplinari. L’Anvur, oltre la ricerca, valuterà le strutture universitarie, l’accreditamento di nuovi corsi di laurea e sedi, e determinerà le regole di accesso ai ruoli accademici.

La quantità e la qualità dei prodotti di ricerca diversificati per ogni settore (libri, articoli su riviste italiane e straniere, brevetti, composizioni, disegni, mostre, manufatti, prototipi, banche dati e software) saranno valutate da un panel di 450 esperti suddivisi in 14 aree disciplinari (Gruppo di esperti della valutazione - Gev) che coprono tutti gli ambiti della ricerca universitaria. I criteri fondamentali scelti per la valutazione sono da un lato l’analisi bibliometrica basata sulle citazioni del prodotto e sull’impact factor della rivista che lo ospita, dall’altra la peer – review affidata ad esperti esterni scelti dal Gev che valutano la qualità delle pubblicazioni per rilevanza, originalità e innovazione, internazionalizzazione.

Se queste sono le premesse del nuovo sistema di valutazione della ricerca universitaria, molte sono le questioni aperte su cui gli atenei stanno discutendo, in particolare rispetto alle discipline umanistiche alle quali è più difficile applicare parametri quantitativi. Ne hanno discusso in aula Pio XI Marco Mancini, presidente della Crui, Luisa Ribolzi, membro del Consiglio direttivo dell’Anvur, Lorenzo Morelli, coordinatore nazionale dell’Anvur per il settore di Agraria e Veterinaria, preside della facoltà di Agraria di Piacenza e coordinatore della Commissione strategie di ricerca della Cattolica, Emanuela Reale, vice presidente dell’Associazione italiana di valutazione e Ceris-Cnr.

Il rettore Lorenzo Ornaghi ha sottolineato da un lato l’importanza della valutazione delle diverse aree disciplinari e del lavoro dei docenti, e dall’altro la preoccupazione che con il nuovo sistema le aree umanistiche vengano drasticamente penalizzate nella distribuzione dei finanziamenti. Una preoccupazione legittima se si pensa all’alto valore che questi ambiti hanno avuto e hanno nella formazione di generazioni di studenti e nella tradizione culturale del nostro Paese. Non sono mancate le rassicurazioni dei relatori che saranno tra i responsabili della valutazione e che hanno dichiarato la massima apertura a trovare le modalità più idonee per non sacrificare alcuni settori di ricerca rispetto ad altri.

L'aula Pio XI gremita di professori e ricercatoriIn particolare riguardo alla ricerca umanistica Emanuela Reale ha espresso l’idea che per quanto siano comprensibili i dubbi sui parametri di valutazione delle discipline umane e sociali, è vero che questi non sono del tutto diversi da quelli applicati alle altre. Tra l’altro, gli indicatori bibliometrici non rappresentano ancora uno strumento utilizzabile in modo diffuso a supporto della formulazione del giudizio valutativo. Esiste la possibilità di sviluppare indicatori alternativi che consentano di avere una conoscenza di elementi utili per la valutazione, di posizionare il singolo settore in ambito nazionale e di riconoscere il suo grado di apertura alla collaborazione con enti esterni all’università. Inoltre la forte specializzazione interna delle discipline umane e sociali esige ancora una discussione approfondita sul significato degli indicatori.

Oltre le preoccupazioni legate alla valutazione dei prodotti di ricerca, un problema serio su cui riflettere sono gli oltre 22.000 ricercatori italiani all’estero per i quali, come ha ricordato Luisa Ribolzi, lo Stato spende 210 mila euro, una grave perdita a fronte di un forte investimento. Si può osare e dire che con questo nuovo e rigoroso procedimento di valutazione delle università cominci una nuova era per la ricerca italiana che possa portarla un giorno a un tale grado di riconoscimento da riportare a casa i “cervelli in fuga”?