Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani. Valeva per le origini del nuovo Stato unitario, ma vale anche oggi. “Fare il cittadino” è un problema di tutti gli stati e di ogni convivenza civile. Ma le regole dell’educazione alla vita della città e dello Stato civile sono cambiate nel tempo e hanno subito una profonda modifica con l’introduzione delle Carte Costituzionali. Un convegno di una settimana, ospitato tra le Università Cattolica di Brescia e Statale di Bergamo, ha approfondito questa problematica con l’aiuto di esperti di atenei italiani e stranieri.

I lavori sono cominciati il 4 maggio nell’aula magna Tovini della Cattolica con i saluti del direttore di sede Luigi Morgano e delle autorità. Un approfondimento particolare è stato dedicato al nostro Paese, di cui Francesco Bonini dell’Università di Teramo ha ripercorso le tappe: dall’Ancient Regime, in cui in tutta Europa le relazioni tra identità locale e spazio nazionale erano molto complesse e cruciale era il rapporto centro periferia, fino ad arrivare alla crisi dei governi democratici occidentali del secondo dopoguerra, che ha comportato un rilancio delle identità di tutti gli attori pubblici e privati, locali e nazionali nella costruzione di un nuovo costituzionalismo e di una nuova modalità di governo a più livelli. «Il percorso italiano – ha sottolineato il professor Bonini – è un caso molto particolare perché per molto tempo c’è stata una discrepanza tra l’Italia legale e l’Italia reale; siamo di fronte a un processo di unificazione a molteplici stadi, in cui il risultato pratico sfugge a una rigorosa definizione istituzionale».

Il tema della nazione è stato analizzato anche da Roberto Cartocci dell’Università di Bologna, che ha voluto sottolineare come in questo tempo di celebrazione, l’argomento sembra risultare assai scomodo a molti italiani, compresi gli intellettuali. Nel passato si tendeva a dimenticare la distinzione analitica tra “stato” e “nazione”, ricorrendo alla formula dello “stato-nazione”, ma è importante distinguere le due cose per poterle chiarire e valorizzare. Cartocci ha trovato la chiave di volta nel “capitale sociale”: «La nazione deve essere intesa come dimensione quotidiana di solidarietà tra sconosciuti; non è un prodotto definitivo, ma si costruisce e si distrugge continuamente ed è costituita da vincoli di responsabilità reciproca immersi nell’orizzonte culturale». Per creare questi vincoli e relazioni e, di conseguenza, una nazione, un ruolo di primo piano è occupato dalla scuola, che ha inserito l’educazione civica nei piani di studio subito dopo l’Unità nazionale.

Inge Botteri, una delle organizzatrici del convegno, ha analizzato il tema della formazione dei cittadini e delle nuove generazioni all’etica civile e ha esposto come il neo nato Stato Italiano da subito si impegnò a lavorare sui più giovani e impiantare nella società nuovi tratti di educazione morale, per sperare in un nuovo corso storico. Introdotta dalla legge Coppino del 1877, la nuova materia si chiamava “Le prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino”, ma c’era poca chiarezza sui contenuti che doveva avere e di come essa dipendesse dalla tradizione precedente. «Altro aspetto importante – ha sottolineato la professoressa Botteri – è che l’educazione civica fu introdotta a spese dello scomparso insegnamento della religione. Tuttavia bisogna spostare l’ottica dallo scontro tra religione e laicità a come il nuovo Stato si impegnò nel creare una materia a propria immagine e somiglianza». Un tema attualissimo, se si pensa alle riforme scolastiche che si sono susseguite negli ultimi anni, a volte per reintrodurre, a volta per ridurre lo spazio dell’educazione civica.

Non solo storia e studio di casi del passato quindi, ma anche problemi di oggi, analizzati soprattutto nella giornata del 6 maggio nell’ateneo bergamasco, in cui si è trattato delle nuove forme di cittadinanza sociale. In una realtà in cui tutti trascorrono molto tempo in internet e sui social network, per scopi professionali e ludici, l’intervento di Pier Cesare Rivoltella dell’Università Cattolica, ha voluto soffermarsi sulle categorie di libertà e leggerezza che regolano il nostro rapporto con il mondo virtuale. Internet modifica le relazioni tra pubblico e privato ridefinendo in profondità il concetto stesso di sfera pubblica: «Pubblicare – ha chiarito il professor Rivoltella - diventa facile e immediato e con il rischio che tutto può essere messo in Rete senza passare da controlli e filtri, si finirà per rendere pubblico anche ciò che era meglio non lo fosse». Con il rischio che il cittadino dell’epoca di Internet, invece che sfruttare le enormi possibilità del network per essere più formato e informato, dilati solo la propria libertà senza fare crescere la responsabilità.