9 Marzo 2010 ore 20.00. Accedo al sito dell’Università e, senza nemmeno accorgermi, il mio sguardo si posa sugli aggiornamenti di CattolicaNews: «È morto il Professor Cigada». Ho un sussulto e rileggo più volte… l’incredulità si fa purtroppo certezza. Ho sempre pensato che la morte del professor Cigada avrebbe concluso un’epoca e mi reputo fortunata per essere stata tra gli ultimi studenti ad avere avuto l’opportunità di conoscerlo. Frequentare la facoltà di Lingue durante la sua presidenza significa aver preso parte alla storia della nostra facoltà accanto a chi ha contribuito a farla nascere.

La tristezza si mescola ai ricordi. Cosa rendeva il professor Cigada così speciale? Ognuno di noi troverà dentro di sé la risposta più appropriata. Io ne ammiravo la saggezza, l’entusiasmo e la semplicità: qualità che porto nel cuore e che sono legate a tre immagini impresse nella mia memoria.

La prima immagine che si delinea è quella del primo giorno di università. L’aula Gemelli è affollata, tutte le matricole attendono con trepidazione l’arrivo del professore di Tecniche Espressive e Tipologie dei Testi. Al suono della campanella entra un signore anziano, elegante, serio che suscita subito rispetto. La sua voce mite scioglie pian piano la tensione e ci porta dolcemente dentro quella avventura che è l’Università. Capii subito che il professor Cigada non era un luminare altero perché trasmetteva una saggezza posata, modesta. Col passare del tempo mi resi conto che ero alla presenza di un vero sapiente: era l’esperienza acquisita con gli anni che rendeva il suo sapere così magico. La sua sapienza non era però fossilizzata o antiquata, ma estremamente vitale. Chi ha seguito le sue lezioni di Letteratura francese ha avuto sicuramente l’occasione di rendersene conto. Durante quelle lezioni non si studiava letteratura: si entrava delicatamente nella cultura letteraria, si perdeva il senso del tempo per immergersi nella eterna attualità dei grandi autori francesi. Solo qualche suo leggero colpo di tosse ci riportava di tanto in tanto nel presente. Il professor Cigada, col suo panciotto e i capelli leggermente arruffati, diventava Flaubert e parlava con ardore, con entusiasmo e con orgoglio della “sua” Bovary. La letteratura diventava viva, contemporanea.

Anche durante il suo corso di Letterature comparate il professore mostrava ancora voglia di innovare, voleva rifondare la disciplina. Si appassionava nel raccontare le trame dei libri che avremmo dovuto leggere proprio come un nonno ansioso di raccontare le storie della sua gioventù ai nipotini.

L’ultima immagine che ricordo è quella di un colloquio durante il suo ricevimento. Aspettando di entrare nel suo studio pensavo alle parole che avrei dovuto usare per rivolgermi a un preside di facoltà. Appena cominciai a parlare mi trovai subito a mio agio perché non incuteva timore, ma il rispetto che ispirava si mescolava a quell’estrema semplicità, modestia e sobrietà che è propria di tutti i grandi uomini.

Con la sua morte l’Università perde un illustre professore; noi ex studenti un punto di riferimento accademico, ma soprattutto umano. Mi consola il fatto che il suo immenso sapere non andrà perso perché ognuno di noi ne custodisce nel proprio cuore almeno una goccia. Come tanti studenti, anch’io avrei voluto esprimergli la mia gratitudine, ma non ho mai trovato il coraggio o il momento. Ora colgo l’occasione per farlo e l’unica cosa che mi viene in mente è… un semplice grazie. “Au fond de l’inconnu pour trouver du nouveau” (Le Voyage, C.Baudelaire).