Tutto ha il suo momento, dice il libro biblico del Qoelet, che ha fatto da punto di partenza del seminario Le età della vita. Le concezioni religiose, le implicazioni per la gestione d'impresa patrocinato dalla fondazione Ismu e voluto e organizzato lo scorso 12 febbraio in largo Gemelli da Laura Zanfrini, docente della facoltà di Scienze politiche e sociali e direttore del Centro di ricerca Welfare Work Enterprise Lifelong Learning (Wwell) dell’ateneo. «L'obiettivo di questa iniziativa - ha spiegato - è dare avvio a una riflessione condivisa sul tema della diversità, partendo da quella in senso anagrafico: nella società contemporanea riconoscere e valorizzare tutte le diversità significa trasformarle in una risorsa preziosa».

In un momento storico in cui si assiste a una difficoltà diffusa nel conciliare le aspirazioni dei giovani con le esigenze degli anziani, che spesso fanno fatica a passare il testimone, è necessario, come ha sottolineato Giancarlo Rovati, docente di Sociologia in Università Cattolica, in apertura dell'incontro, «ripensare il tema delle età della vita e considerarle come fasi attraverso cui tutti dobbiamo passare, dunque ripartire da un confronto tra persone che condividono la medesima esperienza». Il tema ha una particolare rilevanza in ambito lavorativo, dove fare i conti con tanti tipi di diversità significa, secondo Vincenzo Cesareo, professore emerito dell’ateneo e direttore della rivista "Studi di Sociologia", trovare il modo di vivere nel rispetto di ciascuno e di tutti.

Intorno al tavolo si sono confrontati relatori di diverse matrici culturali e religiose: David Sciunnach, rabbino della Comunità Ebraica di Milano, ha posto l'accento sull'assenza, nell'ebraismo, del concetto di "limite di età": «Il rabbino, anche quando arriva a centoventi anni, rimane un punto di riferimento per tutta la comunità, da cui non si separa mai, perché la vita ha senso solo se condivisa con i nostri simili». La comunicazione tra generazioni diverse si è rivelata, nella discussione, il centro di tutte le concezioni religiose: l'anziano è, per gli ebrei come per i cristiani, come ha sottolineato anche il biblista Bruno Maggioni, prezioso per la società, perché depositario di cultura ed esperienza e dunque figura che deve essere di stimolo per le generazioni più giovani. Giovani e anziani sono dunque elementi complementari dello stesso meccanismo vitale: «l'esistenza umana» come ha raccontato Farouq Wael, docente di Studi islamici all'American University del Cairo, «è, secondo una metafora ricorrente nella cultura islamica, uno spazio donato da Dio in cui ciascuno è chiamato a costruire qualcosa. Sia giovani che anziani, anche in questa prospettiva, sono in grado di "costruire", ma lo fanno ciascuno in modo diverso, secondo la propria esperienza».

Dal confronto tra concezioni religiose e dalla riflessione storica – cui ha preso parte anche Martin Ibarra, presidente del Centro culturale Protestante di Milano – si è passati infine a un approccio pragmatico alla problematica. Esperti di diverse realtà del mondo delle imprese e delle organizzazioni non-profit – Fiorella Nahum, dell'Associazione Nestore, Marco Russomando, del Gruppo Unicredit, Luigi Serio della Fondazione Istud ed Ermanno Cova, della Segreteria nazionale Fim-Cisl – sono stati tutti concordi con la visione olistica della vita umana offerta dalle religioni: gettare un ponte tra le generazioni e tornare a considerare l'individuo e le sue esigenze fuori da schemi fissi e "scadenze obbligate" deve essere l'impegno di tutti.