Con una breve sentenza (provvisoria) la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha dato ragione a una coppia italiana, portatrice sana di una patologia genetica, che voleva accedere alla procreazione medicalmente assistita per selezionare gli embrioni sani da quelli malati.

La legge 40 è stata pensata e proposta con un intento chiaro: permettere alle coppie sterili di poter ottenere una gravidanza, ponendo al centro non soltanto l’interesse della coppia, ma anche il valore dell’embrione umano, di quel “figlio” desiderato per cui si accedeva a questa tecnica stessa. Per questo motivo si era vietata la selezione degli embrioni.

La Corte europea dei diritti dell’Uomo afferma oggi che il divieto di selezione degli embrioni, stabilito dalla legge 40, sarebbe in contrasto con la legge 194 che consentirebbe il cosiddetto “aborto terapeutico”. In realtà, la legge 194 consente l’aborto di un feto affetto da patologia non perché malato, ma perché la madre dichiara che la continuazione della gravidanza metterebbe a repentaglio la sua salute psichica o fisica.

Le due leggi, formalmente, sono coerenti nel vietare l’eliminazione di un embrione o di un feto perché malati: la malattia, infatti, non può essere causa di minor tutela.

La Corte europea interpreta il divieto di accesso alla fecondazione assistita per la selezione degli embrioni come un’ingerenza e una violazione dei diritti alla vita privata e familiare, alla privacy.

In realtà, accogliendo questo ricorso, la Corte europea dei diritti dell’Uomo si allinea a quella tendenza, definita di eugenetica liberale, che privilegia gli interessi della coppia e pone sotto silenzio il problema della tutela della vita nascente, specie quando è malata.

Eppure, la recente Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità ha sancito con chiarezza il divieto di abortire un feto o un embrione perché malati e affetti da grave disabilità. Ma quando sono in gioco gli interessi immediati degli adulti e ci si appella ai loro diritti, queste dichiarazioni diventano invisibili, come lo sono alla coscienza morale di molti, quei figli che chiamiamo embrioni.