Un intellettuale che fu, nella sua adesione integrale al messaggio evangelico, un ponte verso il mondo moderno e le sue molteplici manifestazioni.  Il pensiero di Jacques Maritain è stato al centro della due giorni di studio che l’Università Cattolica ha promosso il 9 e 10 dicembre nella cripta dell’aula magna a Milano in occasione del quarantesimo anniversario della scomparsa. Un’iniziativa che riprende e continua idealmente le giornate di studio voluto dall’allora rettore Giuseppe Lazzati nel 1982 e riconosce la figura e l’esempio di un maestro del pensiero cristiano, come fece Paolo VI nel consegnare al filosofo il messaggio agli intellettuali alla chiusura del Concilio Vaticano II.

Dopo il saluto del direttore del dipartimento di Filosofia Massimo Marassi e l’introduzione del prorettore Francesco Botturi, che ha ricordato le tensioni che si sono manifestate nella nostra università in occasione del conferimento della laurea honoris causa al filosofo francese, e le contrastanti interpretazioni del suo pensiero nella cultura italiana, spesso coinvolto nelle fluttuazioni politiche del dopoguerra, Piero Viotto ha ricostruito appunto il nascere della presenza maritainiana nel nostro paese [sintesi dell’intervento]. Sono stati gli artisti ad accorgersi per primi della portata insieme rivoluzionaria e ancorata ai principi perenni di un’opera su cui si sono concentrati molti altri interventi di questo convegno, Arte e scolastica, mentre Alcide De Gasperi, prima della pubblicazione in Italia delle opere politiche del filosofo, divulgava già nel 1934 nelle sue conferenze alcuni concetti fondamentali di Maritain che sono stati guida all’impegno politico dei cattolici in anni difficili: la distinzione fra azione cattolica e azione politica, fra l’agire in quanto cristiano e da cristiano, l’ideale prospettico di una società laica e pluralista ma vivificata dal fermento evangelico, che si esprime in un doppio no, al liberalismo e al socialismo, per una politica organizzata attorno al valore trascendente della persona.

Piero Coda e Vittorio Possenti si sono concentrati sul concetto di ontosofia, la sapienza dell’essere. Il teologo ha richiamato l’invito del magistero ad allargare i confini della razionalità, che ben si accorda con il progetto speculativo della maggiore opera di Maritain, I gradi del sapere, recentemente riproposta in Italia. Secondo Coda quest’opera, che studia la distinzione e il legame, l’autonomia e la reciprocità, delle scienze empiriche e delle tre sapienze - metafisica, teologia e mistica - obbedisce all’urgenza di una chiamata: mettere fine all’incompatibilità, proclamata a partire dall’umanesimo antropocentrico, fra scienza e sapienza, fra ragione e contemplazione, dissodando il terreno affinché i saperi di piani diversi dialoghino fra di loro invece di escludersi. Anche l’attuale crisi della razionalità è vista da Coda come un’opportunità, la fine di un equilibrio, quello della separazione, che deve portare a uno nuovo, quello della integrazione, spingendo audacemente le frontiere del conoscere anche al di là del sapere concettuale, esplorando il valore conoscitivo dell’amore e dell’esperienza mistica, perché “è divenuto difficile tenersi nell’umano, bisogna puntare o sopra la ragione per la ragione o sotto la ragione contro la ragione”.

Vittorio Possenti ha spiegato come questo compito, oltre a sanare le fratture della modernità, spinga il discorso filosofico fino ai nodi cruciali della contemporaneità, perché sanando il riduzionismo scientista riapre alla ragione il percorso verso l’intuizione dell’essere, anima della metafisica. Un modo per reagire al nichilismo teoretico, all’oblio dell’essere e all’abbandono dell’idea stessa di verità, conseguenza dell’illusione moderna di elaborare un sapere globale sulla base della sola scienza positiva.

Michel Fourcade ha cercato di delineare la specificità del “maritainismo” attraverso il concetto di “tomismo vivente”, un filosofare cioè che assimilando la lezione di san Tommaso lavori al suo interno come l’organismo vivente, che riceve apporti dal mondo esterno e cresce trasformando e ricreando i materiali assimilati. Secondo lo storico francese, Maritain ha potuto vivere questo atteggiamento perché ha vissuto in sé, esistenzialmente, le esigenze e le aspirazioni dell’uomo contemporaneo. Il maritainismo, quindi, non teme il confronto con il diverso, ma anzi ne fa un’occasione per approfondire la lezione della philosophia perennis, a patto però di interiorizzare gli apporti delle altre filosofie e delle altre esperienze in maniera creativa e non servile.

Angelo Campodonico e Francesco Viola hanno portato l’attenzione verso l’aspetto etico-pratico del pensiero di Maritain, concentrandosi, il primo, sul concetto di conoscenza per connaturalità come fonte dell’apprensione dei principi morali fondamentali. Il secondo, confrontando la filosofia del diritto del pensatore francese con il giusnaturalismo e il giuspositivismo contemporanei, ha fatto notare come l’affermazione maritainiana di una legge naturale e quindi di una natura umana sovraculturale e normativa avvengano non deduttivisticamente e a priori, ma all’interno dell’esperienza stessa del diritto positivo, nella quale egli ritrova elementi che non si riconducono all’intervento positivo del legislatore, bensì lo regolano.

La prima giornata si è conclusa con la presentazione di due libri: La luce della ragione. A 50 anni dalla Pacem in terris (Mondadori, 2013) e Jacques Maritain. Scritti di guerra (Studium, 2013). Il primo, presentato da Luigi Bonanate, cerca di rintracciare l’influsso di Maritain nella stesura del documento pontificio, mentre il secondo, presentato da Piero Viotto, raccoglie molti degli interventi, anche inediti, del filosofo durante il periodo bellico, dai quali emerge la sua passione umana e il delinearsi di un pensiero che già prima della fine del secondo conflitto mondiale puntava a porre le basi spirituali della ricostruzione.

La presentazione di questi due testi è stata seguita dall’intervento di Enrico Berti che ha proposto una lettura della principale opera politica del filosofo francese, L’uomo e lo stato. Il professore emerito dell’Università di Padova ha ripreso la critica al concetto di stato sovrano in senso moderno, uno stato cioè che identificandosi con lo stato-nazione afferma la sua sovranità, a patto però di entrare in conflitto con altre società politiche che rivendicano lo stesso grado autoritativo (gli altri stati), rendendo problematico per la sua stessa natura il perseguimento del bene comune. E la formazione di corpi sovranazionali nel panorama politico contemporaneo, per la costituzione dei quali gli stati devono cedere quote di sovranità, conferma la correttezza della intuizione maritainiana.

Maritain, la testimonianza di Piero Viotto ( KB)