Il premio Nobel assegnato al dottor Robert Edwards, inventore della tecnica di procreazione extracorporea, ha suscitato reazioni contrastanti nel mondo della medicina, dove non mancano certo personalità che hanno dato contributi molto più significativi dal punto di vista della ricerca: non senza ragione, infatti, si è segnalato il fatto che Edwards ha esteso all’uomo ciò che già si praticava in zootecnia. Il conferimento di questo premio, che rientra nella responsabilità di coloro che lo assegnano, non muta certo la valutazione etica e scientifica di questa tecnica, i cui risultati, tra l’altro, sono modesti in termini percentuali e di efficacia, e non hanno risolto il problema dell’infertilità e della sterilità. Da una parte, infatti, resta aperto il problema etico della selezione embrionale e l’alta percentuale di embrioni sacrificati per ottenere una gravidanza; dall’altra si tace sul fatto che quasi il settanta per cento delle donne che ricorre a questo procedimento non riesce ad avere un figlio e si trova a dover affrontare in solitudine il peso di una tecnica invasiva fisicamente e psicologicamente. Lascia perplessi il silenzio sulle conseguenze delle tecniche mediche: la storia della scienza e della medicina non può essere scritta ignorandone i fallimenti e i costi etici. Un premio Nobel non muta né i fatti né la valutazione etica, ma può essere forse l’occasione per riaprire una seria riflessione sul significato umano della procreazione e sul dovere di tutelare la vita di tutti i figli, anche allo stato embrionale.