di Cristina Angellotti, Laura Mantello, Federica Reina, Mattia Riganti, Giulia Spaggiari *

«A chiamarvi in causa è la civiltà intera»: Robert H. Jackson, procuratore capo degli Stati Uniti d'America, concluse con queste parole la premessa al Processo di Norimberga il 21 novembre 1945. Il filmato originale di quel dibattimento, restaurato e montato dalla produttrice Sandra Schulberg, figlia del regista che ne diresse le riprese, è stato proiettato in anteprima assoluta per l'Italia il 21 marzo 2013 in un'affollata aula magna dell'Università Cattolica a Milano. L'evento è stato organizzato da Gabriele Della Morte, docente di Diritto internazionale, con due lezioni introduttive, che hanno preparato gli studenti alla visione del film.

La proiezione è stata preceduta dall'intervento di Donald Ferencz, figlio di Benjamin Ferencz, procuratore capo per gli Stati Uniti nel processo Einsatzgruppen, uno dei dodici processi che seguirono quello principale contro i maggiori gerarchi nazisti. La personalità di quest'ultimo si distinse per aver sostenuto con vigore la necessità di creare una corte penale internazionale, con l'intento di far prevalere il diritto sull'uso arbitrario della forza. Ferencz ha ricordato le difficoltà incontrate nel definire e ratificare i crimini di aggressione. Nonostante la loro definizione abbia trovato compimento con la Conferenza di Revisione, tenutasi a Kampala nel 2010, le modifiche statutarie rimangono ancora inattuate a causa della mancata ratifica da parte di alcuni dei 30 Stati parte. Con gli studenti presenti in aula si è discusso della possibilità di creare, anche in Italia, una rete studentesca già nota in altre università del mondo (International Criminal Court Students Network), con lo scopo di renderli partecipi e consapevoli protagonisti di campagne di sensibilizzazione contro i crimini di guerra e crimini contro l'umanità.

Ma eccoci al film. Proiezione serale in aula magna. Breve introduzione di Gabriele Della Morte e di Sandra Schulberg, 450 studenti, professori, avvocati, magistrati e giornalisti seduti per la visione del documentario. Alla proiezione sono seguiti gli interventi del direttore dell'Alta Scuola in media, comunicazione e spettacolo (Almed) Ruggero Eugeni, del preside della facoltà di giurisprudenza Gabrio Forti e dei due ospiti stranieri.

Il professore Eugeni ha commentato da un punto di vista tecnico la struttura del documentario, mettendone in luce le caratteristiche principali. Il processo di Norimberga ha rappresentato la prima occasione di utilizzo della traduzione simultanea, resa possibile con l'ausilio delle complesse apparecchiature fornite dall'Ibm. Ad aggiungersi a questo elemento innovativo, è la documentazione filmata dell'evento. Questo aspetto ha consentito di conferire una forte struttura drammaturgica al processo, che riprende la "teoria del montaggio delle attrazioni" elaborata da Ejzenštejn, «un montaggio multimediale tale da prevedere un effetto di accrescimento - ha spiegato il direttore dell'Almed: c'è la parola parlata, l'elemento scritto e poi la proiezione del documento filmato». Non è, però, solo questo l'aspetto dell'immagine che il prof. Eugeni vuole sottolineare, ma la grande influenza che ebbero i filmati utilizzati all'interno del processo. «I due film mostrati durante il processo di Norimberga non solo generarono un vero e proprio shock - ha concluso il professor Eugeni - ma furono un vero punto di svolta nel processo a causa della potenza dell'immagine. Non si trattava più di una potenza totalitaria, ma di una potenza del Vero che reclamava il proprio prezzo attraverso le immagini».

Il preside della facoltà di Giurisprudenza ha osservato che la possibilità data agli imputati del Processo di Norimberga di difendersi rappresentò una scelta non scontata di risposta alla guerra, perché portava alla formulazione di una esperienza che aggirava l'idea di giustizia sommaria. Tuttavia, secondo il professor Gabrio Forti, nonostante la struttura sembri quella di un processo tradizionale, si nota la totale assenza delle vittime. Queste ultime sono viste solo come oggetti di violenza e «non raccontano le loro storie».

Donald Ferencz, citando Tucidide («I forti fanno ciò che vogliono e i deboli sopportano ciò che devono») ha richiamato il ruolo della legge, unico strumento con cui rivendicare i diritti dei deboli, come avvenne durante il processo di Norimberga. Riproponendo le parole di Robert H. Jackson, Ferencz ha ricordato come l'uso della legge nel Processo di Norimberga fu il prezzo più significativo che il potere abbia mai dovuto pagare alla ragione.

La produttrice Sandra Schulberg ha spiegato che ogni processo ha una storia da raccontare. Quello di Norimberga narra la vicenda dello scontro tra l'umano e il disumano. Una storia da proporre attraverso il documentario in tutto il mondo, per aiutare il pubblico a porsi una domanda fondamentale: possiamo porre fine alla guerra? Se in questo intento Norimberga e le generazioni successive fallirono, forse noi potremmo riuscirci.

 * Studenti del corso di Diritto internazionale, facoltà di Giurisprudenza