La delegazione della Cattolica a GinevraI bambini, figli di genitori carcerati, al centro di una giornata di riflessione all’Onu lo scorso 30 settembre. A Ginevra presso il Palazzo delle Nazioni Unite si è riunito, in occasione della 58° sessione, il Comitato per i Diritti del Bambino che ha dedicato una giornata all’articolo 9 della Convezione sui diritti dell’infanzia. Obiettivo generale di queste Giornate è rinforzare le conoscenze sul tema ed elaborare linee guida a cui gli stati membri possano fare riferimento per garantire una maggiore protezione dei diritti dei bambini, attraverso politiche e buone pratiche di lavoro. Alla 58esima sessione dove il Comitato ha deciso di dedicare una giornata all’articolo della Convenzione, ed in particolare al tema dei diritti dei bambini, figli di carcerati, alla quale hanno partecipato istituzioni e associazioni che si occupano della tematica, e organizzazioni non governative con esperti che operano nel settore della tutela dei diritti dei figli di carcerati.

L’Università Cattolica ha partecipato con gli interventi della psicologa Cristina Castelli, dell’esperta di Diritto minorile, Claudia Mazzucato, e della psicologa e collaboratrice dell’Ateneo, Ilaria Nutini, grazie ad un progetto di collaborazione tra il gruppo di studio e l’associazione milanese Bambini Senza Sbarre, presieduta da Lia Sacerdote, che da anni lavora nel settore della presa in carico delle famiglie di carcerati e dei loro figli con progetti di sostegno psicopedagogico.

La collaborazione tra le due strutture ha condotto alla realizzazione del “Memory Box Programme”, un programma di sostegno alle visite settimanali dei bambini in carcere. Lo strumento nasce dal riadattamento di un programma elaborato presso un centro di ricerca dell’Università di Kwazulu – Natal in Sud Africa, che si occupa di garantire sostegno alle famiglie colpite dal virus dell’HIV. Come nel caso del lavoro con le famiglie di malati di AIDS, anche l’adattamento del “Memory Box Programme” in Italia si configura come una forma di sostegno psicosociale a soggetti in difficoltà, finalizzato alla condivisione e rielaborazione dei vissuti. Si sono riscontrate, infatti, diverse dinamiche psicologiche e relazionali comuni (vissuti di vergogna e di isolamento, stigma sociale, trauma da separazione …).

Il programma è attualmente in fase di sperimentazione con alcune famiglie di genitori reclusi presso il carcere di Bollate. La Memory Box si presenta come una vera e propria scatola all’interno della quale genitore e figlio possono inserire piccoli lavoretti, disegni o brevi racconti da loro realizzati durante l’ora di visita. I ricordi precedenti alla incarcerazione, quelli relativi al difficile periodo di lontananza e i pensieri sul futuro della famiglia vengono così alla luce, grazie alle capacità creative ed espressive di adulti e bambini, e la Memory Box ne diventa il “contenitore”. Ciò non solo garantisce un ascolto del bambino, ma aiuta anche a dare continuità ad una relazione che altrimenti risulterebbe minata dal periodo di detenzione.

Il “Memory Box Programme” è stato proposto dalla Cattolica a Ginevra come “buona pratica” di lavoro. Alcune Memory Box sono inoltre state esposte all’interno della mostra espositiva intitolata “Collateral Convicts”, realizzata all’interno della sede dell’Onu.

Dagli interventi durante la Giornata di Discussione sono emerse le difficoltà che sperimentano i bambini quando entrano in carcere per far visita al genitore, e quelle che vivono al di fuori di esso. I partecipanti hanno contribuito alla Giornata stilando alcune raccomandazioni per buone pratiche di lavoro e di intervento. La Cattolica, sulla base dell’esperienza con la Memory Box, ha posto l’accento non solo sull’importanza di garantire una adeguata formazione a chi lavora all’interno del circuito penale e alle istituzioni, ma anche sulla necessità di assicurare il diritto alla continuità relazionale ed affettiva tra genitore e bambino, visto come soggetto vulnerabile a cui si deve rivolgere una “considerazione preminente”. Come ha sottolineato Cristina Castelli durante il suo intervento “l’incarcerazione di un genitore ha un impatto sulle diverse aree di vita del bambino, il quale si vede negati tutti i principali diritti, non solamente quello alla famiglia, ma insieme a questo anche il diritto all’educazione, al gioco e alla salute”.

Un documento che sintetizza l’elenco di tutte le raccomandazioni verrà presentato in occasione del Consiglio per i Diritti Umani, previsto a Ginevra per il mese di marzo 2012.

Le principali raccomandazioni emerse durante la Giornata di Discussione:

  • I bambini che hanno i genitori in carcere devono essere considerati bambini pregiudicati, deprivati del loro diritto ad avere un genitore, sulla base di una decisione dello Stato: i diritti del bambino non devono essere sottoposti al problema della sicurezza;
  • Gli interessi del bambino devono essere tenuti in conto in ogni decisione giuridica;
  • Stabilire standard di presa in carico e cura del bambino figlio di genitore/i carcerato/i: formare operatori sociali che si occupino del bambino a partire dal delicato momento della incarcerazione, che spieghino al bambino dove si trovi il genitore e per quale motivo, che offrano un percorso di counselling familiare durante la detenzione, che preparino il bambino in prossimità del rilascio del genitore;
  •  Formazione a coloro che si possono prendere cura del bambino durante la detenzione del genitore (parenti, ma anche insegnanti, psicologi, medici, giudici e magistrati ...) ;
  •  Garantire supporto psicosociale e finanziario a coloro che si occupano del bambino mentre il genitore è in carcere;
  •  Delineare un protocollo di intervento per la polizia, al fine di definire le condotte da seguire durante la fase dell’arresto del genitore;
  •  Garantire la continuità della relazione, considerata strumento di resilienza del bambino: studiare il contesto e le condizioni ideali per le visite in carcere, garantire i contatti tra il bambino ed il genitore in carcere, fare in modo che la prigione in  cui il genitore è detenuto sia quella più vicina a dove vive il bambino;
  •  Consentire al genitore detenuto di rinforzare ed esercitare la propria capacità genitoriale;
  •  Riconsiderare i diritti dei bambini nell’ottica della giustizia ripartiva;
  • Consentire la possibilità di avere modi alternativi per rimanere in contatto con il genitore in carcere, quali quelli mesi a nostra disposizione dalle nuove tecnologie;
  • Realizzare una analisi caso per caso, differenziando gli interventi per età e caratteristiche del bambino;
  • Aumentare il nostro bagaglio di conoscenze sul tema effettuando maggiori ricerche e promuovendo maggiore contatto e collaborazione tra gli enti che in diversa maniera lavorano nel settore.