La vita dell’uomo è spesso un gioco delle parti in cui è difficile individuare il labile confine tra finzione e realtà; persino la monotona quotidianità potrebbe essere semplicemente una delle possibili finzioni che l’uomo mette in scena nel corso della sua vita. In questo continuo intreccio tra verità e illusione l’uomo indossa tante maschere che lo aiutano a evadere dalla trappola della quotidianità, ma che causano anche un’inevitabile perdita d’identità, sempre che l’uomo possa averne una. Parola di Harold Pinter (1930-2008), l’autore di L’amante (The Lover, 1962) presentato nella terza conferenza sul Teatro che ha avuto luogo lo scorso 12 novembre 2009 nell’Aula Magna di via Trieste. A parlare dell’opera di Pinter Franco Lonati, docente di Letteratura inglese all’Università Cattolica di Brescia ed esperto in trasposizione filmiche di opere letterarie, in particolare dei drammi shakespeariani e dei romanzi inglesi fin du siècle.

Il teatro di Pinter, formatosi su Kafka, Beckett e sui drammi dell’assurdo, dà voce alle nevrosi dell’uomo contemporaneo e utilizza il linguaggio corrente caricandolo, con grande padronanza degli effetti teatrali, di ambiguità, di pause e di silenzi, nonché del senso di inadeguatezza espressiva. Per questo motivo l’autore è stato più volte tacciato di essere poco comprensibile perché di fatto inscenava l’assurdità della normalità. Pinter è stato spesso al centro dell’attenzione della critica anche per le sue posizioni politiche, da alcuni ritenute “profetiche”. Sin dal suo esordio con l’atto unico La stanza (The room, 1957) ha trattato il tema politico, descrivendo l’istinto di prevaricazione e la violenza sottesi alla quotidianità, ma indagando anche sulla dimensione morale ed etica della politica.

Presentando le varie attività di Harold Pinter, che è stato attore teatrale, drammaturgo, sceneggiatore cinematografico ed anche autore radiofonico e televisivo, il professor Lonati ha individuato tre filoni all’interno della produzione letteraria di questo autore. Un primo gruppo, quelle del “Teatro della minaccia”,  tratta il tema della sopraffazione e della violenza presenti in situazioni quotidiane velate da un linguaggio difficilmente decifrabile. Altre opere presentano il medesimo tema con uno sfondo politico più marcato e manifesto. Alla produzione di Pinter appartengono anche drammi più intimistici nei quali vengono analizzati i delicati equilibri interpersonali, specialmente nei rapporti amorosi, in due chiavi differenti: la prima più tesa e nervosa, la seconda più ironica e farsesca.

Proprio in quest’ultima categoria rientra l’opera L’amante, scritta nel 1962 e portata in scena l’anno seguente; il 28 marzo 1963 fu trasmessa la prima performance televisiva di The Lover, la cui protagonista fu la moglie stessa di Pinter, Vivien Merchant. I protagonisti di quest’opera sono Sarah e Richard, una coppia di coniugi che si inventano e costruiscono relazioni extraconiugali fittizie per ravvivare il loro rapporto divenuto piatto e monotono. I dialoghi tra gli sposi e i rispettivi amanti sono stati letti dall’attrice Giuseppina Turra che magistralmente li ha interpretati con intensità, lasciando trasparire anche l’aspetto farsesco dell’opera che ha coinvolto l’intera aula magna.

Il contesto iniziale sembra essere la quotidianità apparentemente normale di una coppia di sposi; l’elemento di disturbo proviene dall’interno della scena, nel momento in cui Richard chiede a Sarah dell’amante che la moglie sta frequentando e le augura di trascorrere con lui un piacevole pomeriggio d’amore. Il marito nota che “there’s a lot of sun”; la presenza di un sole accecante – come nell’opera L’étranger  di Albert Camus – rappresenta un elemento del discorso quotidiano che però allude alla condizione claustrofobica della vita di coppia. Ciò è tipico del “Teatro della minaccia”, caratterizzato da atmosfere che, sotto la patina di discorsi normali, semplici e spesso ameni, celano situazioni cupe, oscure e talvolta macabre. Per questo motivo è stato coniato l’aggettivo di pinteresque  per definire situazioni date da una Mischung di banalità, quotidianità, nonsense e simbolismo che maschera un’amara percezione dell’esistenza. Inizialmente Richard sembra essere la vittima del tradimento, ma Sarah ribalta la situazione in un modo perversamente spietato, dal momento che dichiara di essere a conoscenza del rapporto che il marito ha instaurato con la propria amante: si tratta di un “tradimento” mentale reciproco, approvato ed elaborato da entrambi gli sposi, in cui l’uno proietta nella propria amante immaginaria la controfigura della partner reale e viceversa. Gli amanti ideali rappresentano quindi la realizzazione dei sogni della coppia. A questo punto entra metaforicamente in scena Max, l’amante fittizio di Sarah, che in realtà corrisponde a Richard stesso, ma che nella mente di lei appare come il suo opposto, primitivo ed antiborghese.

A questo punto i protagonisti, che inizialmente erano alla ricerca della propria identità, la perdono completamente, in quanto non si riconoscono più né in sé stessi né negli amanti immaginari, quindi neanche nelle proprie controfigure. Sarah sembra essere la partner che vuole salvaguardare l’intero impianto illusorio, ma Richard sovverte la finzione, uscendo dai panni di Max, cioè dall’immagine di amante della moglie. Il quadrangolo amoroso consiste quindi in una finta architettura relazionale, fatta di identità falsate fini a sé stesse, che non fa altro che allontanare la coppia dalla centralità dell’amore coniugale, mostrando quindi l’esatto negativo dei due sposi-amanti. Lo spettatore è chiamato dunque a riflettere sull’ambigua natura dell’uomo, o meglio, sulle molteplici nature che lo caratterizzano. Ciò che emerge palesemente in quest’opera è la contrapposizione tra lo spirito borghese, convenzionale e stereotipato, vincolato da clichés sociali, che appartiene a Richard, e lo spirito sensuale, amorale e primitivo, proprio di Max che anche per questo è proprio l’opposto del marito di Sarah. In tante occasioni – ha concluso Lonati - non è poi così scontato capire se l’uomo mostri il suo vero volto oppure una maschera di facciata. Rifiutandoli entrambi, si rischia di impazzire; accettandoli ed equilibrandoli, forse si riesce a vivere.