Può esistere un mercato dove l’avanzata dell’economia cinese stenta ad affermarsi? Sì, quello pubblicitario. Nel mondo dell’advertising infatti la Cina non riesce a esportare i propri brand fuori dai confini nazionali anche se al suo interno il giro d’affari è forte e in grande espansione. È questo uno degli aspetti più interessanti emersi da un incontro, promosso dall’Istituto Confucio e dall’International Advertising Association, sulla situazione del mercato pubblicitario in Italia e in Cina. L’evento, svoltosi martedì 22 giugno e moderato da Edoardo Teodoro Brioschi, docente di Comunicazione aziendale e presidente della sezione italiana della IAA è stato un momento per fare un bilancio sui rispettivi mercati e sui possibili terreni di scambio ma soprattutto ha offerto agli operatori del settore italiani e cinesi l’opportunità di scambiare idee, impressioni e suggerimenti.

In tempi di crisi il “made in Italy” tira ancora. Almeno a sentire i delegati cinesi che guardano ai nostri prodotti con immutata ammirazione anche in virtù del grande successo riscosso dai nostri prodotti in tutto il mondo: «Marchi storici li abbiamo anche noi – hanno spiegato alcuni delegati cinesi intervenuti al dibattito – ma il loro successo si ferma ai confini nazionali. Ci manca la dimensione internazionale e nell’era della globalizzazione questo è un vuoto che va colmato».

Qual è la strada da percorrere per riempirlo? Gli operatori italiani un consiglio hanno provato a darlo spiegando ai colleghi cinesi che la chiave sta nel dire qualcosa che interessa al proprio pubblico andando oltre le semplici qualità del prodotto da promuovere. Senza dimenticare che la forza del brand sta nella storia e nella tradizione di chi lo produce. E la Cina, col suo passato millenario, da questo punto di vista non ha nulla da invidiare al resto del mondo. Anzi.

Per quanto riguarda l’aspetto "tecnico", l’incontro, che si è svolto nella sede di via Nirone della Cattolica di Milano, è stato occasione per analizzare alcuni dati e tendenze dei rispettivi mercati. A illustrare la situazione cinese è stata Zhang Xia, segretaria generale della China Advertising Association che ha fatto qualche cifra per dare conto delle dimensioni del settore: «La Cina è il quarto Paese del mondo per fatturato con tasso di crescita del 30%. Nel settore pubblicitario lavorano circa un milione di persone. La maggior parte degli investimenti – spiega Zhang Xia – è concentrata nella televisione seguita da quotidiani cartacei tuttavia i cosiddetti new media sono in costante ascesa. I settori che investono di più in pubblicità sono quelli immobiliari e cosmetici».

A fare un bilancio del mercato italiano ci ha pensato invece Paolo Duranti, managing director di Nielsen Media Research nonché membro del board dell’IAA: «Il nostro Paese purtroppo paga la crisi che da tempo ha colpito tutta l’economia occidentale. Le ultime previsioni comunque sono incoraggianti, la flessione si è arrestata e c’è un inizio di crescita. Certo, le percentuali, rispetto a quelle cinesi, sono risibili. Per quanto concerne i media – ha aggiunto – c’è da notare che l’audience del piccolo schermo è in continuo aumento. Nonostante i new media (anche se internet è in crescita) in Italia sempre più persone guardano la televisione».

Duranti ha poi voluto porre all’attenzione degli operatori alcune macrotendenze individuate nel nostro mercato pubblicitario: «La prima – ha spiegato - è un aumento “violento” della multimedialità che ha contribuito a un ulteriore sviluppo del digitale. Questo vuol dire che ci sono molti più “schermi” da dover gestire e che l’utilizzo di un mezzo non esclude l’altro. Una multimedialità che, grazie all’avvento di tablet e smartphone, viene consumata sempre di più all’esterno delle mura domestiche. L’ultimo orientamento interessante è quello della tenuta della marca. La “griffe” nel nostro Paese fa ancora la differenza. Anche se – conclude Duranti – ultimamente sta emergendo il conflitto tra le marche forti e quelle della distribuzione».