Dopo decenni nei quali la nostra cultura si è illusa di poter confinare la religiosità entro la sfera privata, considerandola come il residuo di un passato ormai superato dalla progressiva razionalizzazione delle società e delle civiltà, il nuovo millennio ha invece mostrato – talora in maniera tragica - come proprio la religione abbia ancora un peso decisivo nel confronto e purtroppo nello scontro tra le civiltà. Al rapporto tra religiosità e civiltà è stato dedicato il convegno che ha portato alla sede di Brescia storici di grande prestigio provenienti da atenei italiani, tedeschi, francesi e inglesi. L’appuntamento bresciano ha concluso un ciclo di convegni che ogni due anni hanno affrontato questo tema, del tutto in linea con uno degli snodi fondamentali della cultura occidentale, come ha sottolineato nel suo saluto il preside della facoltà di Lettere e Filosofia, lo storico Angelo Bianchi.

Dopo aver affrontato il tema delle comunicazioni simboliche (2007) e quello dell’identità delle forme religiose (2009), l’obiettivo si è spostato appunto sui rapporti reciproci tra le religioni intese come fattori determinanti nello sviluppo delle civiltà privilegiando, in una prospettiva rigorosamente storica, i secoli centrali del medioevo, durante i quali molti problemi presero vigorosamente corpo, così da influire in maniera decisiva sulla successiva storia dell’Europa cristiana sia al suo interno che nelle relazioni con le altre civiltà.

Il cristianesimo medievale seppe, e in misura decisiva dovette, aprirsi alla conoscenza delle altre religioni, percorrendo con varie modulazioni gli itinerari che, a partire dalle proprie rappresentazioni, lo portarono a misurarsi con l’osservazione empirica, con le altrui tradizioni culturali e con i testi sacri, in particolare con il Corano. Al di là di ogni facile irenismo, occorre sottolineare che la conoscenza dell’altro da sé non portò tuttavia a un vero e proprio dialogo, ma determinò talora influssi reciproci e non di rado scontri violenti. Risulta, così, preziosa per esempio la disamina svolta da Franco Cardini a proposito dei nuovi orientamenti sulle crociate, che ormai solo una vulgata priva di addentellati con la storiografia più avvertita si ostina a considerare come guerre di religione volte all’espansione della Christianitas, laddove la spinta missionaria dei crociati era del tutto assente poiché assolutamente inadeguata risultava la conoscenza che dell’Islam si aveva nell’Occidente dei secoli XI e XII. Basti dire che i conquistatori di Gerusalemme del 1099 credevano di avere di fronte dei politeisti idolatri e non dei rigidi monoteisti.

Diverse relazioni hanno evidenziato come all’interno della Christianitas i rapporti con le altre religioni fossero regolati soprattutto dal dosaggio degli adepti di altre fedi all’interno delle singole società. Mentre notevoli difficoltà intervenivano nel rapporto con i musulmani, che il Corano rendeva poco disponibili alla possibilità di essere minoranza all’interno di singoli contesti, gli Ebrei furono di norma accolti senza grandi problemi nei secoli in questione, soprattutto perché la loro presenza era a dir poco residuale (poche decine di persone in città che contavano decine di migliaia di cristiani). Alessandra Veronese ha mostrato con grande dovizia di documentazione che gli Ebrei erano addirittura cercati dalle città italiane, bisognose di specialisti del prestito, con i quali i cristiani stringevano duraturi rapporti di amicizia, dialogando sulle rispettive fedi sia pure con l’intenzione di convertire gli interlocutori. Anche dai documenti imperiali dei secoli XI e XII, esaminati da Anna Sapir Abulafia, risulta che le autorità civili consideravano gli Ebrei servi preziosi e ne proteggevano i commerci. Da diverse relazioni è emerso come i cristiani d’Occidente abbiano cercato di elaborare strumenti sempre nuovi di conoscenza delle altre religioni, passando dagli stereotipi letterari forniti dalle fonti patristiche, dapprima al confronto razionale tra le fedi nell’età della scolastica, quindi alla diretta osservazione empirica attraverso le missioni diplomatiche e in qualche modo “spionistiche” di frati minori come Giovanni di Pian del Carpine e Guglielmo di Rubruk, le cui opere sono state prese in esame da Giancarlo Andenna. Questi ha confermato quanto sostenuto da Johannes Fried con una formula efficace e sintetica: l’Occidente che nell’alto medioevo “osservava” l’altro da sé con gli occhi chiusi, rifugiandosi nelle sue auctoritates, col XIII secolo aprì gli occhi, ormai disponibile a conoscere empiricamente quanti vivevano in modo diverso il loro rapporto col trascendente, senza per altro rinunciare ai fondamenti della fede cristiana. Che sia una lezione da meditare?