Cecilia De CarliIN QUESTE ULTIME settimane si sono accesi i riflettori su una miriade di mostre che festeggiano i 150 anni dell’Unità d’Italia attraverso il racconto dell’arte, dalla rassegna “ammiraglia”della reggia di Venaria a Torino intitolata La bella Italia, arte e identità delle città capitali, alla rassegna milanese delle battaglie che condussero all’unità realizzata attraverso i dipinti della Collezione Savoia, che torna così a Palazzo Reale, e all’altra, sempre nella stessa sede, dedicata a I gio - vani ribelli del ’48 e che introdotta dal racconto di Giovanni Visconti Venosta narra le vicende che portarono i ragazzi lombardi a diventare protagonisti della nostra storia patria. Il Fai poi, per la Giornata di primavera, ha aperto 660 luoghi d’arte in Italia dedicati al Risorgimento nelle sue gesta anche eroiche, come la riscoperta delle celle dei martiri di Belfiore, sopra la Camera degli sposi a Mantova.

Ben oltre le manifestazioni dedicate al tema della unificazione politica del Paese, il nostro territorio è, già esso stesso, intessuto di testimonianze sia di questa unità che di un’unità ben più profonda. Così, passeggiando per Milano, è possibile riscoprire la Casa dei Bersaglieri in Porta Romana, che rievoca nelle statue e nei rilievi scultorei il corpo dei bersaglieri e l’incontro di Teano, trovare i volti dei padri risorgimentali sulle facciate dei palazzi ed arrivare nelle nostre piazze davanti ai monumenti di Vittorio Emanuele II o del generale Missori in una sorta di museo a cielo aperto, di paesaggio ridefinito dove rintracciare la storiografia ufficiale e quella sorta in seno al tessuto stesso della società, entrambe diffuse sul nostro territorio in testimonianze artistiche di qualità e quantità mirabili. Esse sono la raffigurazione tangibile della ricchezza delle esperienze proprie del popolo che è e può dirsi italiano innanzitutto già nella paternità dantesca di una lingua comune, in una pluralità, senza soluzione di continuità, di espressioni straordinarie nella loro inventiva e nella capacità di rivelare presenze in grado di narrare storie di solidarietà, di cura, di fede, di pietà popolare, un mondo spesso sconosciuto ai più giovani e ai meno giovani, ma che costituisce la radice viva dell’albero su cui, coscienti o incoscienti, stiamo seduti.

Questo patrimonio culturale è il fulcro della nostra identità nazionale, che parla di noi aldilà di noi, di cui abbiamo ricominciato ad accorgerci più vivamente e più appassionatamente da quando i flussi migratori verso il nostro Paese sono diventati sempre più importanti e la meraviglia degli ospiti di fronte alle nostre grandi opere fa nascere in noi il desiderio e la responsabilità della trasmissione di una cultura che si confronta e si traduce in un lavoro pieno di speranza per il futuro.