Eccessivo numero di medici con responsabilità manageriali, gestione burocratica delle risorse umane e scarsa propensione a cogliere le opportunità dell’aziendalizzazione della Sanità. Su un campione di 60 aziende sanitarie e ospedaliere di medie e grandi dimensioni attive sul territorio nazionale, solo il 26% presenta un modello manageriale maturo contro il 55%, dove prevale un sistema gestionale di tipo tradizionale. Né un esempio il fatto che i processi di selezione restano ancorati ai meccanismi concorsuali, con oltre il 60% delle aziende in cui il fabbisogno è valutato su base quantitativa, piuttosto che, salvo rare eccezioni, su competenze professionali. È questa, in sintesi, la fotografia che ha scattato la ricerca Human Resource Management (Hrm) sulle caratteristiche della “forza lavoro” reale nelle aziende del Servizio sanitario nazionale. Lo studio, condotto dai ricercatori Ilaria Piconi, Daniele Mascia e Federica Morandi e coordinato in qualità di responsabile scientifico da Americo Cicchetti, docente di Organizzazione Aziendale alla facoltà di Economia, è stato presentato venerdì 17 dicembre nell’ambito di un workshop dal titolo Lo sviluppo delle pratiche di Human Resource Management in Sanità, promosso dal Centro di ricerche e studi in management sanitario (Cerismas) dell’Università Cattolica di Milano.

All’indagine hanno partecipato 60 aziende sanitarie e ospedaliere di medio-grandi dimensioni (in media 630 posti letti) del territorio nazionale che complessivamente impiegano 135.000 persone tra dipendenti e personale con contratto atipico. Dall’indagine emerge che un medico su cinque in corsia (il 19,5%) ha responsabilità manageriali, un numero esorbitante rispetto alle reali necessità di gestione dei dipartimenti ospedalieri. «Questa situazione - spiega Americo Cicchetti - dipende dal modello contrattuale che obbliga i medici ad assumere responsabilità di “struttura” per poter conseguire un avanzamento di carriera quando invece sarebbe più opportuno, e forse auspicabile per la qualità delle prestazioni ai pazienti, adottare modelli in grado di premiare coloro che preferirebbero (e sono la maggior parte) continuare a occuparsi in esclusiva di pratica clinica avendo soddisfazioni in termini di carriera e di status attraverso la professione medica».

Dalla survey emerge anche una carenza di figure dirigenziali nelle professioni infermieristiche: solo 1 dirigente ogni 59 infermieri e tecnici (complessivamente il 4,3%). Comunque, la quota di personale amministrativo non raggiunge il 10% nel campione, proporzione coerente con le reali esigenze di governo di un servizio pubblico in cui la “buona amministrazione” non è solo spreco ma garantisce equità, neutralità ed efficacia al sistema. L’insieme delle figure professionali non direttamente impiegate nell’attività assistenziale, invece, raggiunge quasi il 30% dell’intera forza lavoro. Resta, poi, alto il numero di lavoratori con contratto atipico (prevalentemente part-time verticale e orizzontale e tempo determinato), che superano il 12% del totale.

Per quanto riguarda le posizioni vacanti solo nel 22% dei casi la domanda è coperta con chiamata esterna rispetto al 77% che le ricopre con personale interno. I percorsi di carriera sono legati all’applicazione di normative e regole di contrattazione nazionale e decentrata, e marginalmente sono basati su pratiche di valutazione dei potenziali e job evaluation. Risulta ampiamente diffusa l’applicazione di valutazione delle performance e delle posizioni anche in attuazione della recente “riforma Brunetta”, ma non sempre esiste una coerenza tra metodi di valutazione, erogazione degli incentivi e la programmazione dei percorsi di carriera. «La ricerca restituisce la sensazione di un “cantiere aperto” – sostiene il professor Cicchetti -: le aziende sanitarie italiane avvertono l’importanza di adottare approcci alla gestione delle risorse umane portando al centro dell’attenzione le diverse professionalità come fattore critico per la qualità del sistema. Ma resiste ancora un orientamento burocratico che porta la maggior parte del personale dedicato agli uffici di gestione delle risorse umane a dedicarsi a processi meramente amministrativi, per esempio paghe e contributi e posizioni previdenziali. La sfida del passaggio a una aziendalizzazione “matura” nel Ssn passa certamente da un cambiamento di natura sia fattuale sia culturale anche nel campo delle pratiche di human resource management».