Forse non è un così strano che, in un momento delicato dal punto di vista politico e sociale come quello che l’Italia sta attraversando, sulle pagine dei giornali si ritagli uno spazio considerevole anche il caso Sanremo: l’importanza di cui viene investito il possibile slittamento del programma a causa delle elezioni è infatti segno che questo evento musicale e mediatico rappresenta molto più che un momento d’evasione.

È proprio di questo, del ruolo della musica pop nella società italiana del dopoguerra, che si è discusso nell’ultima giornata di studi organizzata dal Dipartimento di Scienze della comunicazione e dello Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano insieme al Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali dell’Università degli studi di Pavia. Introdotta da Elena Mosconi e Massimo Locatelli, l’occasione è stata preziosa per riflettere sul ruolo di «grimaldello» che la canzone popolare italiana ha esercitato nella cultura italiana attraverso gli strati più diversi, da quelli popolari alle élite, divenendo di volta in volta un motivo d’orgoglio identitario per la Nazione e per i campanili, la base ritmica dell’impegno politico, l’accompagnamento del tempo libero.

Come ha sottolineato Luca Barra, fin dalla nascita della televisione, nel 1954, la musica ha occupato un posto di rilievo con una funzione che è stata inizialmente di legame rispetto al passato, con il trasferimento della musica tradizionale e melodica dalla radio al nuovo mezzo di comunicazione. Con il nascere della discografia, a cavallo tra gli anni cinquanta e i sessanta, si è assistito a una progressiva mediatizzazione della pop music; è così che, secondo Alessandro Bratus, il cantante e la sua performance – soprattutto per quanto riguarda proprio Sanremo – hanno ottenuto sempre più un ruolo di rilievo e l’importanza della melodia e della musica scritta sullo spartito hanno progressivamente lasciato il posto all’idea della musica incisa su nastro e dunque di un’esperienza riproducibile. I nuovi divi della canzone, da Mina a Celentano, da Morandi a Caselli, sono diventati così protagonisti anche di prodotti cinematografici: i celebri “musicarelli” – di cui ha parlato Mauro Buzzi – che erano occupati per più del 50 per cento da canzoni. La trama era dunque poco più che un espediente e sempre con la stessa traccia, anche se sorprendentemente attuale: alla base c’è un conflitto tra giovani e vecchi, che si conclude con un accordo, una risoluzione di un conflitto che stava scoppiando a livello sociale proprio in quegli anni. Come recita una famosa canzone pop italiana, se bastasse una sola canzone…