Non esiste una classifica delle sentenze che hanno segnato con maggior vigore la storia della giurisprudenza italiana. È indubitabile, però, che, se qualcuno volesse mai cimentarsi con questo improbabile esercizio, collocherebbe ai vertici della fantasiosa classifica la sentenza delle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione del 10 luglio 2002, nel caso Franzese. Sono rare le sentenze che dominano in maniera così incontrastata la scena: come ha ricordato Tullio Padovani, docente di Diritto penale nella Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna di Pisa, la “strana vitalità” della Sentenza Franzese deriva dalla forza dei suoi argomenti ed è stata, quindi, “guadagnata sul campo”. Ecco, allora, che il decimo anniversario della sua emissione rappresentava un’occasione obbligata per una riflessione sul tema della sentenza: l’accertamento del nesso causale nel diritto penale.

La riflessione, promossa lo scorso 24 maggio dal Centro studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la politica criminale (Csgp), ha trovato la sede, per così dire, naturale all’Università Cattolica del Sacro Cuore. Il Centro, diretto Gabrio Forti, preside della facoltà di Giurisprudenza di Milano e docente di Diritto penale e Criminologia, porta, infatti, il nome di Federico Stella - maestro della scienza penalistica e docente di Diritto penale all’Università Cattolica -, che ha contribuito a imprimere una svolta decisiva all’approfondimento e alla comprensione delle questioni legate alla spiegazione causale nel diritto penale italiano. A prendere la parola per primo, dopo l’introduzione del professor Forti, è stato Tullio Padovani: dopo aver ricordato i “meriti” della sentenza Franzese, si è soffermato su alcuni problemi applicativi legati ai dicta della sentenza. È stata poi la volta della relazione di Paolo Tonini, docente di Diritto processuale penale all’Università degli Studi di Firenze. Secondo il giurista, alla sentenza Franzese si deve riconoscere di aver svolto la funzione di “antidoto” rispetto ad alcune derive giurisprudenziali e a talune interpretazioni poco sintoniche con i principi fondamentali dell’ordinamento: ciò, in particolare, in punto di rispetto del principio del contraddittorio, della regola di giudizio dell’oltre il ragionevole dubbio e, infine, dei criteri di ingresso della scienza nel processo penale.

Stimolante il confronto con il mondo del diritto civile, proposto da Giulio Ponzanelli, docente di Istituzioni di Diritto privato all’Università Cattolica, che ha posto in luce i profili di contiguità fra accertamento del nesso causale nel diritto civile e nel diritto penale, evidenziando come la disomogeneità morfologica dell’illecito civile rispetto a quello penale influisca necessariamente sul punto. Non poteva mancare un confronto con l’epistemologia: Maria Carla Galavotti, docente di Logica e Filosofia della Scienza all’Università degli Studi di Bologna, ha ricordato le principali tappe del dibattito epistemologico sui temi oggetto del convegno, soffermandosi, in particolare, sulle posizioni di Hempel e di Salmon.

Si è giunti, così, per dirla con le parole del professor Forti, alle relazioni dei “padroni di casa”, ruolo svolto nell’occasione anche da Fabio Buzzi, docente di Medicina legale all’Università degli Studi di Pavia, direttore, insieme a Francesco Centonze, docente di Diritto penale all’Università Cattolica, della Rivista italiana di Medicina legale e del diritto in campo sanitario, edita da Giuffrè. La nuova serie della Rivista, presentata in occasione dell’incontro, vede una partecipazione attiva del Csgp sul fronte del coordinamento scientifico e redazionale. Il professor Buzzi, dopo aver presentato la Rivista, ha tracciato un quadro delle questioni medico-legali connesse all’accertamento del nesso causale, richiamando l’attenzione sulla perniciosità di atteggiamenti di eccessiva colpevolizzazione dei sanitari e delle relative ricadute in tema di medicina difensiva e difficoltà gestionali delle strutture ospedaliere. Francesco Centonze ha stigmatizzato la prassi di “ossequio formale” talora invalsa nella giurisprudenza rispetto ai criteri dettati dalla sentenza Franzese. Assai spesso, cioè, decisioni che pur richiamavano quale precedente la pronuncia delle Sezioni Unite hanno deviato significativamente dal modello di accertamento lì proposto. Ciò, in particolare, attraverso un abuso del criterio della probabilità logica, ridotto a mera formula vuota che cela accertamenti causali deboli. Nella medesima direzione le riflessioni di Francesco D’Alessandro, docente di Diritto penale commerciale all’Università Cattolica, che ha censurato le numerose sentenze che, pur dichiarando di conformarsi alla Franzese, ne tradiscono profondamente lo spirito. D’Alessandro ha quindi individuato i punti di debolezza di decisioni di tal genere e rimarcato le tensioni rispetto ai “veri” principi affermati dalle Sezioni Unite.

A chiudere i lavori, le parole del Presidente della Corte d’Appello di Milano Giovanni Canzio, estensore della sentenza Franzese, che ha consegnato ai partecipanti i suoi ricordi della difficile e lunga gestazione della sentenza. Canzio ha poi fornito una sorta di interpretazione autentica dei principi ispiratori della pronuncia, affermando l’importanza di leggere il monito implicito nella stessa al rispetto di alcuni dei cardini del nostro sistema penale. Per riprendere le parole conclusive del presidente della Corte d’Appello, non si può dimenticare che “i principi sono principi”; ciò, anche e soprattutto quando conformarsi agli stessi comporti dei costi e dei sacrifici, complicando il compito delle Corti.