In soli due mesi sbanca in libreria con migliaia di copie vendute e nel 2010 sfiora il Premio Strega. Un caso editoriale, verrebbe da dire. Una giovane che coltiva la passione per la scrittura durante gli anni universitari e all’improvviso trova la chiave di volta. Il romanzo ha inizio nel 2001 con l'attentato di New York alle torri gemelle: una brusca svolta storica, un'apocalisse universale. Parallelamente, le due protagoniste del romanzo, Anna e Francesca, appena tredicenni, percepiscono la fine della loro adolescenza, la fine di un loro mondo. Sullo sfondo ci sono Piombino e la sua acciaieria. Una storia come tante altre. Solo apparentemente, però. Perché Acciaio di Silvia Avallone, presentato da Giuseppe Lupo alla Libreria Vita e Pensiero il 2 maggio scorso, non è un romanzo qualunque. Apre una finestra su una realtà fatta di lavoro e difficoltà economiche, come da molto tempo non si faceva.

«Dimostra la capacità di fotografare uno spaccato di un’epoca… un‘operazione difficile - osserva Lupo - perché non facilmente gli scrittori sono in grado di raccontare, capire, intercettare, registrare su carta ciò che sta accadendo».

A segnare la nascita del libro la rabbia contro i mass media che non raccontano i problemi dell’Italia. «Stiamo vivendo un periodo completamente diverso rispetto a quello in cui ho scritto questo romanzo - esordisce la scrittrice - nel 2008-2009 ai telegiornali, in qualsiasi programma televisivo, spesso anche nelle prime pagine dei giornali, l’argomento lavoro era un latitante, un assente, si parlava moltissimo di tante altre cose, dal gossip alle vacanze».

Eppure lei quando usciva di casa a Piombino si trovava davanti quell’immensa fabbrica che c’era, esisteva : «Da ragazzina andavo al mare con ragazzi che a 16 anni avevano lasciato la scuola per entrare in questo gigante dove si perdeva la vita, dove ci si guadagnava onestamente e faticosamente la propria dignità e il proprio futuro, eppure, questo argomento, gli operai e le fabbriche, era come se non esistesse più».

Acciaio nasce dall’urgenza di raccontare la vita nuda e cruda, dunque. E un’altra Italia. Quella vera, quella delle provincie da cui molti studenti come lei decidono di fuggire per andare a studiare in città. Ma alla domanda sul perché a Piombino il libro abbia suscitato polemiche e un’accoglienza problematica, precisa: «Un romanzo non è un reportage, io non è che volessi raccontare la città di Piombino, io ho scelto Piombino come ambientazione di una storia che voleva raccontare un pezzo di Italia e Piombino è perfetta per questo, perché da una parte c’è questo enorme gigante della fabbrica, delle acciaierie che io ho sempre guardato con estremo fascino…dall’altra c’era, a un braccio di mare, l’isola d’Elba, il luogo delle vacanze, anche di un certo tipo di vacanze… e questo braccio di mare separa due mondi che non si toccano perché i turisti che si imbarcano per l’Elba non si soffermano su Piombino e i piombinesi di rado vanno al mare all’Elba…c’è un muro psicologico che divide queste due realtà».

Ammette di avere messo il dito nella piaga. Molti ragazzi vivono, progettano un futuro, fanno dei figli grazie allo stipendio che guadagnano in fabbrica «e come spesso succede in Italia quando una fabbrica chiude non c’è l’alternativa. Le fabbriche possono essere luoghi di morte e vanno denunciate le insufficienti condizioni di sicurezza, ma sono anche luoghi di vita perché permettono ai ragazzi di avere un futuro dignitoso. Sono luoghi di forte aggregazione e di grande solidarietà».

Oggi siamo abituati a pensare che la letteratura non cambi il corso della storia, che non incida nel nostro presente. «Invece - osserva Lupo - per Acciaio ci sono state persone che hanno litigato, che si sono schierate pro e contro, come accadeva negli anni '50-'60 quando c’era passione, impegno, e la letteratura serviva a far muovere idee e persone. Si possono scrivere ancora romanzi che raccontano la realtà in modo epico, suscitando forti emozioni. Come ha fatto Roberto Saviano con Gomorra». Ne è convinta anche Silvia Avallone: «In questo la narrativa è superiore alla tv, che presenta un mondo edulcorato e fittizio, la televisione ha disintegrato il concetto di realtà e soprattutto il nostro ruolo attivo».

La Avallone poi critica anche il web: «È importantissimo come strumento, come piazza di condivisione, però nello stesso tempo è anche una frammentazione, i blog, i post, i “mi piace”, è tutto un modo per spezzettare il discorso. È qui – prosegue la scrittrice - che la letteratura con il romanzo entra in scena e ti dice: adesso io ti racconto una storia unitaria, ti racconto il mondo. Abbiamo bisogno di grandi storie, come La Storia di Elsa Morante, che affrontino la realtà; occorre riabituarci a guardare in faccia i problemi e a parlarne perché una cosa finché non viene raccontata non esiste. La letteratura – conclude - deve far esistere ciò che è più impopolare e scomodo, ciò di cui chiunque ha interesse ad avere il nostro consenso e i nostri voti non ci racconterà mai».