«A volte il destino di un attore coincide con lo spettacolo che porta in scena. Noi eravamo un muro di energia che si abbatteva sul teatro per svecchiarlo; cercavamo tutti il modo di avere successo, e ognuno poi lo ha fatto, a suo modo». Silvio Orlando, ospite il 7 marzo del professor Aldo Grasso in Cattolica, ricorda i suoi esordi teatrali proprio a Milano, con Comedians, in quella che per anni fu la fucina di moltissimi talenti, la scena comica e teatrale che ancora oggi fa scuola.

Sono passati quasi trent’anni dagli esordi al Teatro dell’Elfo, nel 1985, con Salvatores, insieme a Rossi, Bisio, Gino e Michele e molti altri “giovani emergenti”, ma il teatro, per Orlando, vincitore nel 2008 della Coppa Volpi al Cinema di Venezia come miglior attore, ha ancora lo stesso fascino. «È una vita dura, una routine che ti rende un po’ stupido - scherza l’attore - ma l’adrenalina che ti dà il palcoscenico ti fa accettare tutto, ti dà la carica per riproporre lo stesso spettacolo tutte le sere. In Italia la vita dell’attore di teatro è particolare, c’è una concezione del teatro antica, di qualche secolo fa: ti trovi a girare i teatri della provincia, ad andarti a cercare gli spettatori là dove ci sono e questo ti condiziona».

Proprio il teatro è il filo che lega la sua carriera. Fu sempre Comedians, grazie a Gino e Michele, che gli diede l’opportunità di entrare in quell’universo creativo di sperimentazione che era la Mediaset degli anni ’80. «Dopo l’esperienza di Drive In, Antonio Ricci mise su uno spettacolo che si chiamava Matrioska nel quale dava pieno sfogo alla sua genialità. Lo spettacolo era davvero forte, quasi eccessivo e fu censurato da Berlusconi in persona. Ma non tutto. Pare che sia andata così: Berlusconi sottopose lo spettacolo alle sua guardie del corpo e per alzata di mano si votò quello che poteva essere salvato. Fu così che io, Sabina Guzzanti, Davide Riondino e pochi altri fummo ripescati e così nacque Emilio, ambientato in una sorta di folle redazione di giornale nella quale io ero l’inviato dai posti “caldi”, dai fronti di guerra: il tutto ovviamente si svolgeva nei parcheggi di Mediaset”.

Ma quei tempi sono lontani: «Ormai la televisione si muove in un’ottica di produzione per il giorno dopo, senza sperimentazione e possibilità di costruire qualcosa che duri nel tempo. È una logica autodistruttiva». Oggi però gli sforzi sono concentrati sul cinema e sul teatro in particolare. Lo spettacolo di Denis Diderot che Orlando porta in scena è più che mai attuale. Il dialogo, ambientato in un caffè, tra un filosofo e un solenne cialtrone, un cortigiano che ha venduto l’anima al diavolo, un buffone rassegnato a mercanteggiare la sua dignità per compiacere il signore di turno è figlio del tempo, del pensiero di Diderot, ma rimane molto vicino all’attualità: «Per noi è lo stesso – afferma l’attore -. Dobbiamo chiederci se vogliamo essere cittadini o sudditi, se decidere di noi stessi o essere asserviti alla politica corrotta. Altrimenti non diventeremo mai una nazione adulta. Il male ha sempre più presa, più fascino del bene; la ricchezza e il potere sono invitanti, ecco perché la simpatia alla fine va sempre al cialtrone, perché la natura umana è così, orientata agli stimoli più bassi. Si è portati all’obbedienza per avere una briciola di potere».

Nella televisione di oggi c’è posto per il teatro? «Sono due generi molto diversi. Il teatro di De Filippo era riuscito a fonderli, producendo qualcosa di nuovo, di diverso. Anche Fo, con “Mistero Buffo” aveva ottenuto quel risultato ma in genere è molto difficile farlo. Quello che oggi la televisione insegna, ad esempio con i talent show, è che gli altri sono un ostacolo alla realizzazione dei propri obiettivi, invece gli altri sono una ricchezza, è il confronto che arricchisce». Al termine della lezione gli chiediamo dove si incontrerebbero oggi i due personaggi di Diderot? «Oggi la piazza potrebbe essere il web – conclude -. Io non frequento molto i social network, ma credo che sarebbe quella. Non ho grande fiducia nella capacità di ospitare un confronto democratico del web, preferisco il confronto diretto, guardare negli occhi. Magari è una fatica perché il confronto diretto è difficile, però è reale. Ecco, proporrei una moratoria del web per quattro o cinque anni, una riabilitazione del citofono. Sì, bisognerebbe tornare al citofono».