Lost generation: l’espressione utilizzata dalla Stein per descrivere la generazione che aveva prestato servizio nella Prima guerra mondiale, è tornata d’attualità. Non perché siamo alla ricerca di un nuovo Hemingway, ma perché i giovani europei di oggi non trovano lavoro e il tasso di disoccupazione cresce, con l’Italia al 38%. Che soluzione propone l’Europa?

Era chiamato a rispondere a questa domanda il “Dibattito nazionale sulle proposte della Commissione europea in materia di Crescita e Occupazione”, ospitato in largo Gemelli a Milano il 1° luglio. Tra i relatori, intervenuti dopo il saluto del rettore Franco Anelli, Antonio Tajani, vice presidente della Commissione europea e responsabile per l'industria e l'imprenditoria, Enzo Moavero Milanesi, ministro per gli Affari europei, Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, Susanna Camusso, Segretario generale della Cgil, e Carlo Secchi, direttore dell’Ispi.

Il futuro emerso dal dibattito sembra essere nell’industria manifatturiera. Un apparente passo indietro dopo l’impegno profuso dall’Europa nel settore dei servizi e nella finanza, con risultati però tutt’altro che soddisfacenti. Lo ha ribadito lo stesso vice presidente della Commissione, dopo la constatazione dei danni della crisi e delle colpe della politica. «Servono azioni per la crescita - ha detto -. L'Europa è nata per una politica economica fondata sull'industria e le imprese, bisogna ripartire da qui, valorizzando le industrie moderne e competitive; non si dice Europa se non si dice acciaio, le nostre radici sono queste, non può essere tutto servizi o finanza». Ripartire dall’acciaio prospettando una nuova rivoluzione industriale basata sulla qualità, sulle tecnologie eco-compatibali, sulla biotecnologia, con la cooperazione di una politica energetica che abbia obiettivi realisticamente raggiungibili, come la riduzione di emissione di CO2. Tajani avverte anche l’Europa sulla politica di concorrenza: «Servono nuove regole per la competizione a livello globale del nostro sistema imprenditoriale».

Susanna Camusso ha posto l’accento sul fiscal compact, contro la politica di austerity, che non aiuta i Paesi che non hanno risorse proprie a uscire dalla recessione: «Non può fare tutto l'Europa ma il debito va affrontato diversamente», ha dichiarato, concordando sulla necessità di rinnovare la politica di concorrenza: «I giganti europei sono nani del mondo, l'Europa rischia di perdere la qualità, virtù del continente europeo. Invertire la recessione richiede di ridefinire le politiche costruendo una nuova stagione di relazione tra gli investimenti nazionali e europei», focalizzandosi su politica energetica, universitaria, digitale, militare: «Le norme di oggi sono tarate su un’idea di Europa che ormai è cambiata. Oggi la Commissione europea è lo spettro del peggioramento delle condizioni di lavoro: abbandoniamo l'austerità per la crescita. La manifattura deve crescere, non è più il tempo dell'Europa dei servizi finanziari, i servizi sono funzionali all'industria».

Secondo Roberto Napoletano, direttore del Sole 24 Ore e moderatore dell’incontro, manca oggi un'accelerazione politica dell'Europa all'altezza della crisi che viviamo, mancano soluzioni concrete. Cosa può fare l’Europa per frenare la crisi e far ripartire al crescita economica? Alberto Quadrio Curzio, professore emerito dell'Università Cattolica, ha fornito una soluzione percorribile: «L’emissione di euro bond sarebbe il paradigma di unificazione di tutti gli stati federati, come avviene per gli Stati Uniti. I titoli europei sarebbero bene accetti rispetto a quelli nazionali: pensiamo ai titoli del Fondo Salva Stati che godono di eccessi di domanda e di tassi interesse bassi, tanto da essere competitivi a quelli tedeschi. Se l'Europa non trova uno strumento finanziario adeguato ai mercati mondiali non so come si concluderà la crisi. Anche la Germania finirà per avere dei problemi se non si ferma a riflettere».

Giorgio Squinzi vede come obiettivo gli Stati Uniti d'Europa: «Sono un europeista totale, ci vorrà qualche generazione ma è l'unica salvezza. L’euro è il fattore di coesione dell'Europa, non possiamo uscire dalla moneta unica, se uscissimo si avrebbe un calo del pil del 25% in un paio d'anni, uno scenario catastrofico». Rinunciare a pezzi di sovranità nazionale per la crescita futura, questo il pensiero di Squinzi, che oltre al campo manifatturiero pensa alla ricerca: «L’Europa non ha dato applicazione integrale al trattato di Lisbona; è stato un grave errore, perché certe condizioni avrebbero impedito la crisi, come il 3% da investire nella ricerca, assolutamente necessario. Dobbiamo investire sull'innovazione per rimanere un area economica avanzata».

Intanto dall’Europa sono in arrivo, tra fondi strutturali e fondi non utilizzati precedentemente, 90 miliardi da distribuire nel bilancio 2014-2020. «La capacità della politica - ha detto Enzo Moavero Milanesi - sta nello spendere bene questi fondi per posti di lavoro stabili, non a tempo determinato. Bisogna utilizzare al meglio le opportunità della Unione Europea, questo è il nostro compito».