Conoscere il terrorismo jihadista per poterlo analizzare e interpretare. Esperti, studiosi e rappresentanti delle forze dell'ordine, dopo il saluto del questore di Milano, Luigi Savina, hanno discusso e chiarito molti degli aspetti ancora oscuri di questo fenomeno durante un convegno organizzato presso l'Università Cattolica di Milano. Sotto la lente sono state messe soprattutto le organizzazioni terroristiche di matrice islamica.

L'immagine che i media dipingono di questi gruppi è quella di grandi organizzazioni che controllano una buona fetta del mondo islamico. «Niente di più sbagliato - spiega Andrea Plebani, docente dell'Università Cattolica -. Se prendiamo in esame Al Qaida nel Maghreb, notiamo alcuni aspetti che contraddicono gli stereotipi di queste organizzazioni: questa è una formazione che, probabilmente, non arriva nemmeno a mille unità ma che ha una grande capacità di intessere relazioni con altri movimenti e gruppi fondamentalisti, tribù locali, gruppi criminali mondiali e con il Mujwa (Movement for Oneness and Jihad in West Africa, ndr) ». Questi rapporti sono rafforzati, oltre che da interessi economici, da veri e propri legami di sangue tra gli affiliati delle varie organizzazioni. «I gruppi si finanziano con i riscatti dei sequestri», conclude Plebani.

Un elemento chiaro da subito, dopo le primavere arabe, è l'ascesa al potere politico delle correnti islamiste a discapito di quelle più liberali. «La spiegazione è semplice - spiega Riccardo Redaelli, professore di geopolitica dell'Università Cattolica -: i movimenti liberali non hanno saputo convincere le masse, quelli islamisti sì. Hanno trovato la loro forza nelle moschee, unico luogo dove la repressione dei precedenti regimi non poteva arrivare, e da lì sono cresciuti». Anche l'uso del termine salafismo, secondo Redaelli, è quotidianamente abusato e utilizzato a sproposito: nessuno, infatti, tiene conto che, dietro a una minoranza di salafismo ideologico, ossia legato fortemente ai valori religiosi, esiste un salafismo funzionale. «Spesso - continua Redaelli - si diventa salafiti non perché si condividono gli ideali di questa scuola di pensiero ma come atto di dissenso nei confronti di regimi intolleranti». Gli obiettivi dell'ideologia salafita e dell'azione jihadista? «L'idea di tornare all'Islam delle origini, all'Islam puro, senza accettare altre visioni della religione. Il problema è che, ammesso che l'Islam che hanno in mente sia mai esistito, nessuno, nemmeno loro stessi, sanno in cosa consista».

Ma le giustificazioni religiose non servono sempre a spiegare i comportamenti di vari gruppi ed organizzazioni: «I Tuareg non hanno interesse all'applicazione della sharia - spiega il professor Marco Lombardi, riferendosi alle rivolte nel Sahel e in Mali -: vogliono solo mantenere il controllo sui traffici illegali. Dobbiamo smetterla di tentare di spiegare la situazione nel mondo arabo attraverso una concezione occidentale di divisione netta in Stati nazionali: stiamo parlando di un mondo composto da mix di culture e in cui il nomadismo è molto presente».

E a chi pensa che il contrasto al terrorismo islamico sia una battaglia persa in partenza risponde Maurizio Romanelli, procuratore aggiunto e coordinatore del dipartimento antiterrorismo della Procura di Milano: «Attraverso la collaborazione tra tutti gli organi di polizia possiamo imparare a conoscere e sconfiggere anche il terrorismo islamico. Ce l'abbiamo fatta col terrorismo interno e con la mafia, perché non dovremmo farcela anche stavolta?».