di Giuseppe Visonà *

Perché l’unico titolo che Gesù attribuisce costantemente a se stesso (e forse l’unico, secondo anche il nostro ospite, che storicamente Gesù si è attribuito), titolo che è presente in tutte le tradizioni evangeliche (14 volte nel più antico dei vangeli, Marco, sempre in bocca a Gesù, mai del narratore o di un interlocutore) – vale a dire «Figlio dell’uomo» – a noi oggi non dice nulla? Perché, e attraverso quali passaggi, ad esso si affianca il titolo di «Figlio di Davide»? E da dove vengono e quale significato hanno questi enigmatici appellativi? Dire che sono “titoli messianici” forse non ci facilita le cose, perché anche il titolo di «Messia» era declinato secondo molteplici valenze.

Per noi oggi tutto è semplificato e unificato nell’affermazione secondo cui Gesù Cristo è «Figlio di Dio», nel senso di un essere di natura divina e Dio egli stesso: ma non era così che questo ulteriore titolo risuonava negli orecchi dei primi uditori dell’annuncio dei seguaci di Gesù di Nazaret. Come, dunque, si è fatto strada il significato che è divenuto fondamento della fede cristiana? Come si è giunti a vedere in Gesù di Nazaret il Logos di Dio e Logos Dio?

Per cercare di rispondere a questi interrogativi è necessario intraprendere un non facile percorso all’interno del mondo giudaico (nel quale il cristianesimo è sorto) nel periodo che precede e accompagna la sua diffusione, prima del trasformante abbraccio con il mondo greco-romano. La ricerca scientifica degli ultimi cinquant’anni ha messo in luce in maniera incontrovertibile il carattere variegato e multiforme del cosiddetto Medio Giudaismo (300 a.C. - 200 d.C. circa), sfaccettato in molteplici correnti e ideologie, che hanno espresso aspettative messianiche diverse, riflesse in un’articolata e spesso conflittuale produzione letteraria.

È stato inevitabile il riflesso di queste indagini sulla sempre attuale e problematica ricerca sul Gesù storico. Inevitabile e salutare, nella misura in cui aiuta a smascherare come un pericoloso equivoco il contrapporre il «profeta ebreo» al «Figlio di Dio» dei cristiani. Cito Boccaccini: «Lo studio del Gesù storico ha oscillato storicamente tra una accettazione acritica e un altrettanto acritico scetticismo: o Gesù è il messia divino proclamato dalla fede cristiana nei secoli, o è un profeta mancato, sconfitto nelle sue attese e riabilitato solo dal carattere mitico cucitogli addosso dai suoi seguaci per giustificare il fallimento delle loro speranze. La questione / non è che la traduzione in termini secolari del conflitto che per secoli ha opposto ebraismo e cristianesimo: o Gesù è un profeta ebreo, e quindi non è né può essere cristiano (e il vero fondatore del cristianesimo è Paolo), o è il Cristo della tradizione cristiana e quindi non è né può essere ebreo».

Ed ecco l’incidenza di una diversa prospettiva: «La riscoperta della diversità del giudaismo del primo secolo permette ora di ricollocare Gesù e il suo movimento all’interno del mondo giudaico, nel pieno rispetto della sua identità ebraica, senza per questo sminuire l’originalità e la specificità della posizione cristiana. Non vi è infatti un unico messianismo giudaico normativo dal quale sarebbe sorto o al quale si sarebbe contrapposto il messianismo cristiano. Alle sue origini, il messianismo cristiano non è che uno dei possibili messianismi in competizione con altri. È così oggi possibile affermare che Gesù fu al tempo stesso ebreo e cristiano: totalmente ebreo per nascita, cultura e religione anche nel momento in cui divenne fondatore del movimento cristiano e promotore di una particolare interpretazione messianica».

Un recentissimo libro (gennaio 2010) sulla questione del Gesù Storico, partendo proprio dalla maggior consapevolezza acquisita circa la complessità della realtà giudaica e circa l’impossibilità di offrire soluzioni semplicistiche al problema del rapporto tra Gesù e il suo ambiente di origine, presenta ora un capitolo su “Il messia enochico” e un capitolo su “Gesù e l’ideologia enochico-essena” (terminologia con cui chi conosce gli scritti di Boccaccini è già familiare e chi non li conosce dovrà diventarlo), nei quali si espongono le tesi di Paolo Sacchi (un maestro che ha saputo creare nel settore una scuola italiana di prestigio internazionale) e dell’Enoch Seminar, concludendo: «Come si può sostenere che Gesù si sia o non si sia proclamato “messia”, se prima non si capisce che cosa i suoi ascoltatori intendessero con questa parola? come si può risolvere la diatriba riguardo all’autenticità dei detti nei quali Gesù si riferisce a se stesso con l’appellativa di “Figlio dell’uomo”, se prima non si affronta il problema della collocazione storica e ideologica del Libro di Daniele e del Libro delle parabole di Enoch? Per tutte queste ragioni lo studio approfondito del giudaismo del lsecondo tempio è stremamente rilevante per il neptestamentarista impegnato nella ricerca del Gesù storico, e per gli stessi motivi i contributi degli studiosi dell’Enoch Seminar è stato ed è ancora determinante, oltre che per aumentare la conoscenza storica del giudaismo, anche per ricostruire la storia delle origini del cristianesimo».

Il prof. Gabriele Boccaccini, allievo di Paolo Sacchi e fondatore dell’Enoch Seminar, ha dunque tutta la competenza per aiutarci a dipanare la matassa spesso aggrovigliata delle fonti letterarie e condurci a meglio comprendere che senso potesse avere, nel suo contesto d’origine,  proclamare che Gesù di Nazaret era il Messia. Dal 2001, a scadenza biennale, l’Enoch Seminar riunisce in Italia (la sessione 2011 si terrà a Milano) i massimi specialisti americani, europei e israeliani del giudaismo del Secondo Tempio e del giudaismo rabbinico. Gli atti di questi seminari sono contributi di ricerca fondamentali: ricordo qui in particolare, per l’attinenza con il nostro percorso, il volume Enoch and the Messiah Son of Man. Revisiting the Book of Parables (2007). Tra le pubblicazioni in italiano ricordo in particolare, per l’attinenza col nostro tema, Il Messia tra memoria e attesa, Brescia, Morcelliana, 2005.

Mi auguro che da questa presentazione si sia potuta cogliere l’importanza che hanno questo tipo di ricerca e le iniziative connesse anche su un altro versante, vale a dire quello del dialogo interculturale e interreligioso, in particolare, in questo caso, tra il mondo ebraico e quello cristiano. La ricerca scientifica rigorosa non è astratto esercizio accademico nella misura in cui contribuisce a correggere plurisecolari distorsioni di un rapporto troppo spesso inquinato da pregiudiziali apologetiche e confessionali (che vengono poi prese per dati storici). Questo aspetto, soprattutto, è all’origine e spiega il patrocinio (non solo morale, ma fattivo e concreto) offerto a questa iniziativa dal Fondo Nangeroni, che vuole onorare la memoria del pubblicista e storico delle religioni Alessandro Nangeroni  proseguendone l’impegno di favorire, nel segno del dialogo, la ricerca dei “semi di verità” nei percorsi filosofici (antropologici) e spirituali di cristianesimo, ebraismo e islamismo.

* docente di Filologia ed esegesi neotestamentaria


Gabriele Boccaccini, formatosi all’Università di Torino alla scuola di Paolo Sacchi, è da molti anni docente presso la University of Michigan, dove insegna Second Temple Judaism and Early Rabbinic Literature. Studioso tra i più qualificati del giudaismo nelle sue multiformi espressioni e nelle sue intersecazioni con le origini cristiane, è fondatore e animatore dell’Enoch Seminar, che a scadenza biennale, a partire dal 2001, riunisce i massimi specialisti americani, europei e israeliani del giudaismo del Secondo Tempio (fra VI sec. a.C. e I sec. d.C.) e del giudaismo rabbinico, producendo fondamentali contributi di ricerca. Tra le sue pubblicazioni: Il medio giudaismo. Per una storia del pensiero giudaico tra il III sec. a.e.v. e il II sec. e.v., Genova, Marietti, 1993. Oltre l'ipotesi essenica. Lo scisma tra Qumran e il giudaismo enochico, Brescia, Morcelliana, 2003. I giudaismi del Secondo Tempio. Da Ezechiele a Daniele, Brescia, Morcelliana, 2008. Articolo: Gesù ebreo e cristiano: sviluppi e prospettive di ricerca sul Gesù storico in Italia, dall’Ottocento a oggi, «Henoch» 29 (2007) 105-154.