Un fenomeno di cui si parla molto, ma su cui i dati di ricerca devono essere affinati. Parola di Chiara Fonio, sociologa e metodologa delle ricerca sociale all'Università Cattolica del Sacro Cuore, che al tema della videosorveglianza nelle città ha dedicato vari articoli e il suo primo volume, che raccoglieva il progetto della sua tesi di dottorato. Una questione che si lega sempre più alla questione della smart city, come ha cercato di dimostrare il workshop promosso il 24 maggio scorso da Itstime in largo Gemelli a Milano, che aveva per titolo proprio: "Videosorveglianza, profili sociologici, criminologici, culturali e giuridici nell'ottica smart city".  «Con quest'ultimo termine - spiega la ricercatrice - intendiamo una città che sappia fare un uso intelligente delle nuove tecnologie, che sia il più possibile aperta verso l'esterno e soprattutto che sia interconnessa. Durante il workshop abbiamo provato a spiegare il rapporto esistente tra smart city e videosorveglianza. Questo perché spesso si fa l'errore di credere che la sicurezza in città sia determinata dal numero di videocamere che la sorvegliano. Non è affatto così.

Cosa rende smart una città in questa direzione?

Saper fare un uso non solo quantitativo ma anche qualitativo della videosorveglianza. Solo così si realizza il connubio tra smart city e smart technology: offrendo concretamente un certi livello di sicurezza e non soltanto una sua percezione.

Ci sono dati sul fenomeno videosorveglianza in Italia?

Abbiamo dei dati molto parziali. Questo perché le informazioni che abbiamo sull'utilizzo delle videocamere mirano solo a valutare quante ne sono installate, ma poi non ci si interroga sull'uso che se ne fa. Ad esempio, sapere che a Milano ci sono circa 1800 telecamere non serve a nulla. È un dato che non spiega se queste siano servite per creare più sicurezza».

C'è bisogno di un cambio di prospettiva?

Bisogna superare l'idea secondo cui sociologi, criminologi o giuristi svolgono le loro ricerche in modo isolato, senza dialogare con le altre discipline. Sarebbe opportuno che tutte queste figure uniscano le loro competenze e provino ad analizzare il fenomeno della videosorveglianza sotto il punto di vista dei numeri, dell'utilizzo che se ne fa, dei costi, non solo economici ma anche sociali che si affrontano, e dei limiti giuridici come, ad esempio, la privacy.

Privacy e videosorveglianza non sembrano andare molto d'accordo.

Perché nessuno rispetta i provvedimenti e le direttive del Garante che invece sono molto chiari. Nel 2000 uscì un decalogo che elencava le buone pratiche della videosorveglianza, rivisto poi nel 2010. Il problema è che nessuno ha rispetta le regole, ad esempio, evitando di segnalare la presenza di telecamere di sorveglianza nei luoghi pubblici.

Qual è l'infrazione più grave?

La contravvenzione, sempre più frequente, a un principio fondamentale indicato in un provvedimento del 2003: il principio di proporzionalità, secondo cui i mezzi di sorveglianza e sicurezza dovrebbero essere utilizzati in maniera proporzionale rispetto agli obiettivi che si vogliono raggiungere. I numeri che noi abbiamo e il fatto che la videosorveglianza sia utilizzata in modo capillare in molte aree cittadine ci fa capire che qualcosa, per quanto riguarda questo principio di proporzionalità, è saltato.

Il concetto di privacy può essere associato anche a un ambito non giuridico?

La videosorveglianza non è solo uno strumento tecnico ma socio-tecnico. Un cattivo uso di questa tecnologia può generare seri problemi all'interno della società, ricadendo sui costi sociali. La privacy, quindi, è una delle parole irrinunciabili quando parliamo di videosorveglianza. È un concetto che assolutamente deve andare aldilà dell'ambito giuridico.

Per quanto riguarda l'Expo, quanto è importante la questione sicurezza?

È  fondamentale e questo è ben chiaro anche all'amministrazione locale che sulla sicurezza ha investito tantissimo. Inoltre, l'Expo è un evento diverso dagli altri grandi eventi cittadini perché a differenza delle Olimpiadi, ad esempio, si svolge in un periodo di tempo molto più lungo (sei mesi, ndr). Quindi è chiaro che essere preparati dal punto di vista della gestione della sicurezza sia fondamentale, anche perché la sicurezza è un pilastro della smart city.