Joseph WeilerDel Papa lui, giurista statunitense di religione ebraica ammira la capacità di intervenire nel dibattito pubblico impugnando solo gli argomenti della ragione. «A differenza dell’Ebraismo, per il quale fare memoria di Dio coincide con il rispettare la Legge, secondo il cristianesimo una cosa non si fa non perché qualcuno l’ha proibito, ma perché non è ragionevole. Non corrisponde al cuore». Introduce così la rivoluzione paolina, ripresa da Benedetto XVI nel suo intervento a Regensburg, Joseph Weiler, docente alla New York University, che ha chiuso il 6 giugno in Cattolica il ciclo di incontri dedicato al discorso tenuto dal Santo Padre al Parlamento tedesco e organizzato dal Centro Culturale di Milano.

Il contenuto della lezione è chiaro: Da Regensburg al Bundestag: ripensando Cesare e Dio”. Al centro, tre grandi temi: la libertà, la giustizia e il rapporto fra Stato e Chiesa. Alla luce delle due lezioni del Papa. «Due interventi - quelli tenuti all’Università di Ratisbona nel 2006 e al Parlamento tedesco nel 2011 - che prima di essere riflessioni di un ecclesiastico, sono veri e propri discorsi politici, ha detto il professor Weiler, alla presenza del preside della facoltà di Giurisprudenza, Gabrio Forti, e di don Stefano Alberto, docente di Teologia dell’ateneo.

Nel suo discorso al Bundestag - spiega il teologo - il Papa parla del bunker della ragione positivista in cui ci siamo chiusi. Un bunker dove esistono solo le cose artificiali costruite dall’uomo. «Peccato che all’uomo non basta ciò che produce da sé. Ha bisogno di altro per respirare davvero». Per questo il Pontefice svegliò persino i parlamentari tedeschi che lo ascoltavano un po’ addormentati, racconta don Stefano Alberto, «quando inaspettatamente fece riferimento ai Verdi. E affermò che le loro richieste nascevano da un desiderio buono: quello di aprire le finestre sulla realtà creata».

«Con le sue affermazioni Benedetto XVI ha spiazzato tutti”, commenta il professore. «Siamo in un mondo dove tutti possono parlare tranne i cattolici. Perché ormai la fede è considerata come qualcosa di incomprensibile e valido solo parzialmente. Ad aggravare il problema sono poi i molti cristiani che credono lo stesso e concepiscono la religione cattolica come una regola a cui obbedire». Il Papa, però, sa che non è così, e combatte quest’idea riprendendo la frase di Gesù “Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”». Un’affermazione che, secondo il giurista, «troppo spesso viene presa nel suo aspetto più riduttivo, relegando la Chiesa in un angolino». Al punto che il suo intervento nella vita pubblica e politica è considerato una violazione. Invece, proprio in queste parole di Gesù è contenuta la vera rivoluzione. «La normatività cristiana - che si applica universalmente - è basata sulla ragione e non sulla rivelazione. É il test della ragione, quindi, che permette di giudicare tutte le cose, perché è un criterio universale». Ed ecco che, allora, si può parlare delle cose della Chiesa ed entrare in merito anche di quelle dello Stato.

«La rivelazione di Dio in Cristo è rivoluzionaria perché dal momento in cui Dio si incarna, all’uomo per seguirlo basta seguire la sua ragione. Per il cristiano la morale, come dice San Paolo, è universale perché coincide con quella naturale». Quello che “bisogna fare” nel cristianesimo ha sempre un contenuto ragionevole e quindi comprensibile e valido per tutti. «Se parlo io - esemplifica Weiler - non do fastidio a nessuno, mente il parlare dei cristiani giudica anche gli altri avendo un contenuto universale».

La ricchezza delle riflessioni del professore fanno concludere don Stefano Alberto con un ringraziamento. E un invito: «Occorre entrare in merito alla sostanza delle cose e tornare a rivendicare la propria cittadinanza pubblica. Per farlo, serve un’esperienza di fede che non sia consolatoria o intimistica, staccata dalla realtà. Credere è la ragionevolezza insita nel rapporto con le cose, illuminate dall'incontro con Cristo. Solo se c’è questa fede l’uomo può essere libero. Come ripete il Papa. “Ubi fides, ibi libertas” ».