Andrea Zanzotto nella sua casa con il gatto Uttino«[Sono nata] a Zanzotto, capitale della poesia, dove l’esperienza interiore ha in ogni verso il più infallibile, il più irripetibile e il più gioioso dei correlativi». Così scrive affettuosamente Patrizia Valduga sul numero monografico 46 di “Autografo”, presentato il 17 ottobre in Università Cattolica insieme al libro Ascoltando dal prato. Divagazioni e ricordi a cura di Giovanna Ioli (Interlinea), per rendere omaggio ai novant’anni del poeta. È stato l'ultimo festeggiamento che Andrea Zanzotto ha avuto in vita: il 18 ottobre si è spento all’improvviso, nella sua terra veneta. Relatori dell’incontro, in un aula gremita di studenti, Roberto Cicala, Giuseppe Langella, Marisa Zanzotto, moglie del poeta, Giovanna Ioli e Uberto Motta. Spettatrice d’eccezione la stessa Valduga insieme a molti docenti della maggiori università lombarde.

Gli interventi, partendo dai due volumi, hanno delineato la figura di un poeta eccezionale, uno degli ultimi maestri della poesia del Novecento della generazione post-montaliana. Come ha ricordato Motta, Zanzotto era «un uomo di complicata semplicità che ha scritto versi come “Non ne so nulla, eppure mi riguarda”; un endecasillabo di perfetta umanità». È stato l’uomo della resistenza, da quella con la “R” maiuscola (fu nelle fila di Giustizia e Libertà, occupandosi del settore stampa e propaganda) a quella quotidiana, dell’uomo che rivela i pericoli del mondo invitando a seguire l’idea di un’umanità che non deve piegarsi alla bruttezza, non deve cedere al consumismo rapace: «Rinascere ogni giorno per resistere», ha scritto.

Da quest’idea l’immagine – regalataci da Giovanna Ioli, una delle personalità di riferimento più note dei poeti del nostro tempo – del poeta come un tapinambour: quel fiore che si trova in molte parti d’Italia ma che è considerato esotico, un fiore che ha rischiato l’estinzione ma ha resistito a tutte le manipolazioni umane; un fiore che non trovi nei supermercati ma che ha mille virtù perché il gambo è commestibile. «C’è tanto da imparare dai poeti» è il monito della Ioli, che ha raccontato del suo primo imbarazzante incontro con Zanzotto, presentatosi in incognito durante un evento del Cabaret Voltaire, quasi “importuno” nel rivolgerle domande su domande: «Io rispondevo con aria saputa, snocciolando citazioni di corrispondenze dantesche nell’opera di Montale (ero immersa nella mia tesi di laurea); d’un tratto qualcuno pronunciò il suo nome. Lui alzò una mano per rispondere al saluto e io, arrossendo come i papaveri dei suoi futuri versi, cominciai a balbettare scuse. Stavo spiegando a Zanzotto i segreti della citazione!». Ma quell’incontro segnò l’inizio di un’intensa amicizia, un valore fondamentale nella poetica dell’autore che nella fascetta del volume Ascoltando dal prato, il suo ultimo libro, ha voluto espressamente scrivere: «Il Mondo di Zanzotto», perché i suoi ricordi sono il risultato di un coro affettivo fuori dai riflettori.

Un mondo da cui scaturisce la poesia, che ronza dentro fino a versarsi sulla pagina con irriducibile entusiasmo, con quella gioia che ricordava la Valduga, anche se Zanzotto a prima vista non è poeta gioioso. Eppure la sua forza poetica contagia i lettori di ogni età, anche i più giovani, come gli studenti presenti in aula e fra questi un ex studente che lo ha conosciuto di persona intervistandolo per la tesi, Massimiliano Mandorlo – oggi poeta e bibliotecario del nostro Ateneo – che lo ricorda così: «L’immagine che mi rimane di Zanzotto è quella di un poeta “ostinato a sperare”, che aveva assunto su di sé, esistenzialmente e linguisticamente, la sfida di una poesia che, seppur spes contra spem, potesse parlare ancora agli uomini quando sembrava che gli orrori della storia avessero minato dall’interno l’individuo e il suo linguaggio. Un poeta che, arrivato a un’età ormai veneranda, mi aveva confessato di non voler teorizzare nulla sulla poesia, perché per lui era “un’ondata che incalza”. Del grande maestro mi resta questa idea della poesia come umile ma tenace, terrestrissimo e allo stesso tempo metafisico grimaldello, esplorazione a 360 gradi del reale e del linguaggio».