di Michele Portatadino *

Michele Portatadino con alcuni suoi colleghi di studioPuò un colpo di testa portare a una scelta di vita? Una domanda che probabilmente si saranno fatti in tanti, e io non sono stato da meno. L'alba del 16 gennaio scorso ero su un aereo in partenza per i Paesi Bassi, onestamente, senza avere la minima idea di cosa mi sarei dovuto aspettare. Cinque mesi dopo, l'unica cosa che aspetto è tornarci, appena finita l'estate. Ma andiamo con ordine.

Tutta la storia inizia a Milano, nella “mia” università. Al termine dell'ultimo anno della laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali, motivi extra-accademici mi convinsero che, se volevo completare i miei studi, dovevo cambiare aria. Considerando che non avevo ancora avuto la possibilità di "imbarcarmi" in un Erasmus, l'opzione "esperienza all'estero" suonava più che allettante. Questo, unito all'immenso piacere non solo accademico provato nel corso di Storia e Istituzioni dell'Africa, a cui ho dedicato la mia tesi di laurea, mi spinsero ad ascoltare il consiglio della mia relatrice, la professoressa Beatrice Nicolini, e iscrivermi al Research Master in African Studies (o ResMaas) dell’università di Leiden (italianizzata "Leida"), un master biennale diviso in un anno di preparazione teorica "standard" (lezioni, seminari, saggi, ordinaria amministrazione accademica insomma) e un secondo di fieldwork: in poche parole, sei mesi di ricerca sul campo (ancora da fare, e nel mio personale caso si parla di Mozambico) per raccogliere dati utili alla scrittura della tesi finale e il tempo rimanente per la stesura vera e propria. Prima di accorgermene ero già sull'aereo diretto all'aeroporto internazionale di Schiphol, divorato dall'ansia.

Dopo il primo, abbastanza traumatico impatto (sui quali dettagli preferisco sorvolare) un iniziale periodo di due settimane mi permise di familiarizzare con quella che sarebbe stata casa mia per i successivi cinque mesi. All'inizio di febbraio, ero pronto ad affrontare i corsi. Per ragioni organizzative che tutt'ora fatico a comprendere, iniziai i corsi a febbraio anziché a settembre, ciò significa che mi sarei trovato come un "intruso" in un gruppo già prestabilito. La classe del ResMaas contava già undici studenti da sette differenti Paesi (Olanda, Germania, Belgio, Costa d'Avorio, Kenya, Nigeria e Italia) e, sinceramente, non avevo idea di come mi avrebbero accolto.

Devo ammettere che di stereotipi sulla "freddezza" dei popoli del Nord Europa ne avevo pieno il cervello ma già dopo il primo giorno di lezione me li ero dimenticati. Una birra al pub ed ero diventato parte della "famiglia", quasi ci conoscessimo da una vita. Ed era solo la prima delle sorprese. La tanto celebrata precisione nordica? Una favola. Confusione nella sistemazione degli studenti internazionali, il sito web universitario antiquato e con non tutte le istruzioni presenti in due lingue (e decifrare le pagine web in olandese è impresa ardua). E anche a livello organizzativo di pecche ce ne sono, eccome. O almeno, questa è l'idea che ho avuto per le prime settimane. Prima di rendermi conto che, semplicemente, le cose funzionano in maniera diversa.

Gli orari di lezione possono essere adattati in base alle esigenze della classe (almeno quando questa è sufficientemente ridotta in termini di numeri) e un corso vero e proprio può essere creato dal nulla: mettendo insieme le idee dei suoi studenti, una classe, la mia classe, ha messo in piedi il suo personale corso di metodologia per completare il numero di crediti necessari. L'informalità non implica che la qualità delle lezioni non sia garantita. Lo staff dell'African Studies Center annovera ventinove Ph.D., più i dottorandi e collaboratori esterni, invitati a tenere lezioni sugli argomenti più disparati.

Il ResMaas è un compendio di storia, relazioni internazionali, antropologia, economia, con il continente africano come sfondo comune. I primi mesi sono dedicati a un approccio generale alla materia stessa degli African Studies per poi, a discrezione degli studenti, concentrarsi su una regione del continente e approfondirne le dinamiche principali. Nel mio personale caso, la scelta è caduta sulla regione meridionale (dalla Repubblica Democratica del Congo al Sudafrica). Tenendo in considerazione l'argomento della mia tesi di laurea triennale, ho deciso di approfondire la mia conoscenza su un Paese solitamente ignorato (continuo a chiedermi perché….) dagli studiosi, il Mozambico.

Devo ammetterlo, la stragrande maggioranza delle lezioni del corso di Regional Specialisation verteva esclusivamente sul Sudafrica, ma anche questo era un indizio di come funzionano le cose nelle università a quelle latitudini. Se si vuole sapere qualcosa di più preciso, bisogna studiarselo da soli ed è così che ho fatto anche io. Oltretutto, questa scelta mi ha spinto a un'altra decisione. Vivere a contatto con gente da tutto il mondo (l'Università di Leiden conta circa ventimila studenti in totale, la metà dei quali internazionali) fa capire quanto parlare lingue diverse sia allo stesso tempo utile e meraviglioso, quasi fino a desiderare di conoscere la lingua di ogni nuovo amico che ti fai.

Una volta comunicata al coordinatore del programma (Dr. Harry Wels, semplicemente una persona eccezionale) la decisione del Paese su cui scrivere la tesi, mi sono sentito rispondere che avrei dovuto impararne la lingua ufficiale (il portoghese) e non era affare di nessuno al di fuori di me stesso come avrei fatto. Ma nessun problema. L'informalità olandese mi è venuta in soccorso un'altra volta: sul social network Facebook, un gruppo studentesco mette in contatto persone che desiderano apprendere una lingua, offrendosi in cambio di insegnarne una che conoscono. Nel giro di qualche giorno, trovai un paio di ragazzi brasiliani per imparare il portoghese in cambio delle mie conoscenze dell'inglese "accademico". Dimenticavo, la cosa è totalmente gratuita.

Dopo questo primo semestre, sono lieto di avere l'estate per tirare il fiato e pensare al futuro, perché ora mi aspettano i mesi di fieldwork in Mozambico e cosa mi succederà laggiù, onestamente, non lo so. Di una cosa sono sicuro, comunque. Se solo spostarmi un po' più a nord in Europa mi ha scombussolato tante di quelle volte che per raccontare tutto quello che mi è capitato servirebbe un libro, sa il cielo cosa mi aspetta dall'altra parte del mondo. Per quanto mi riguarda, ho già la valigia pronta. 

*Laureato triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali