Una storia in cui dislessia non è sinonimo di incomprensione e di ignoranza. È quella che racconta in prima persona Edoardo Bötner, studente di Scienze del servizio sociale in largo Gemelli a Milano. Dislessia non vuol dire neanche malattia o problema: Edoardo preferisce parlare di caratteristica, che non esclude neppure il genio, se è vero che dislessici furono Leonardo da Vinci, Thomas Edison e il Nobel per la medicina Baruj Benacerraf.

«Ho scoperto di essere dislessico a otto anni, alla fine della terza elementare – racconta Edoardo – . I due anni precedenti erano stati travagliati. In classe passavo per l’alunno svogliato, per l’asino di turno». Eppure, questo ragazzo, che oggi di anni ne ha 21, dello studente svogliato non ha proprio nulla. Iscritto al secondo anno del corso di laurea in Scienze dei servizi sociali all’Università Cattolica, segue tutti i corsi e non perde una sessione d’esame. E anche quando, dopo un anno passato alla facoltà di Scienze motorie, non sapeva bene cosa fare della sua vita, a casa con le mani in mano non è rimasto neanche un giorno. Ha preferito lavorare in un supermercato.

«Quando i miei genitori mi dissero del mio disturbo erano molto preoccupati. Temevano che potessi soffrire – racconta ancora Edoardo – sentendomi diverso dagli altri bambini. Ma la mia reazione fu positiva. Finalmente potevo capire cosa mi capitava». Dando un nome alla sua impossibilità di apprendere i meccanismi della scrittura e della lettura, Edoardo si è sentito sollevato e la diagnosi precoce lo ha preservato da quelle conseguenze depressive che il senso d’inadeguatezza provato dal bambino dislessico può comportare.

Dal momento della diagnosi tutto infatti è cambiato. Né i suoi genitori né gli insegnanti hanno visto nella sua difficoltà nell’imparare a leggere e a scrivere un mostro da sconfiggere. Ne sapevano poco ma si sono informati, imparando ad aiutare Edoardo. «Alle elementari mia madre mi leggeva le lezioni in modo che le potessi imparare; poi alle medie ho iniziato a registrarle». Con il tempo è diventato sempre più autonomo, imparando un metodo di studio. Il computer, come un paio di occhiali per chi non vede bene, e i metodi dispensativi e compensativi gli hanno consentito un percorso scolastico, dalle elementari al liceo artistico, assolutamente nella norma.

Edoardo studia oggi per poter aiutare domani gli altri come assistente sociale. «In università prendo appunti con il computer, poi, per studiare, scansiono tutte le pagine dei libri e li ascolto tramite una sintesi vocale. Il vero nodo sono gli esami, ma grazie al Servizio integrazione dell’università posso sempre concordare con il docente una modalità che non mi penalizzi».  «Al liceo avevo sempre difficoltà nell’andare oltre la sufficienza – torna a raccontare – ma per me non è stato un problema. I professori mi davano tempo, strumenti, tutto quello insomma di cui necessitavo, ma mai un sette, anche quando il compito era perfetto. Forse – conclude Edoardo – perché non capivano che darmi tempo e lasciarmi usare il computer non significava avvantaggiarmi ma solo mettermi nelle stesse condizioni degli altri».