L‘immigrato è un essere umano, differente per cultura e tradizione, ma comunque da rispettare». Le parole di Papa Ratzinger all’indomani dei fatti di Rosarno, degli scontri armati tra italiani e africani, hanno aperto un nuovo spazio di riflessione sullo status del migrante in Italia, sia esso regolare o irregolare, lavoratore o criminale. La riflessione scorre su un doppio binario. Da una parte è necessario domandarsi quale sia il ruolo dell’immigrato nel sistema produttivo e quale il suo peso nell’economia italiana. Dall’altro è fondamentale comprendere in che modo sia possibile integrare gli immigrati attuando la corrente la normativa di legge.

Vincenzo CesareoIn Italia sono presenti circa 4,4 milioni di stranieri e circa 500mila irregolari. Insieme sono poco più del 5 per cento dell’intera popolazione. Dieci anni fa erano la metà. Occorre quindi ragionare in prospettiva sposando legalità e umanità. «La buona integrazione è un processo pluridimensionale che presuppone due principi che devono valere da un lato e dall’altro - spiega Vincenzo Cesareo, docente di Sociologia in Università Cattolica e segretario generale della Fondazione Ismu - : accettare le regole democratiche e rispettare i diritti universali».

La guerra di Rosarno ha portato a galla una realtà che era ampiamente nota alle istituzioni locali e nazionali. In Italia c’è una costante migrazione di stranieri, regolari e non, che si muovono da una capo all’altro della penisola per poter guadagnare qualcosa. Sotto il profilo economico, normativo e umanitario, si trovano in una situazione critica: arrivano senza nulla e sono già fuorilegge, soffrono la ghettizzazione e la loro povertà e, socialmente, non si integrano. Dopo i tumulti che hanno visto calabresi e immigrati armati per le strade di Rosarno, la prefettura di Reggio Calabria ha ordinato la distruzione delle baracche e delle fabbriche in cui vivevano gli immigrati e ha disposto il trasferimento di alcuni di loro a Crotone. In questo modo non è stato risolto il problema dell’integrazione e il fenomeno del caporalato. «Occorre fare una distinzione perché la nazionalità dell’extracomunitario condiziona la sua integrazione - sottolinea il professor Cesareo -. Le criticità in questo senso sono date da quegli immigrati che provengono da Paesi a forte pressione migratoria. La crisi ha ridotto il loro tasso di occupazione dello 0,5 per cento ma non ha rallentato il loro flusso». Tocca quindi alle istituzioni e all’apparato legislativo fare da filtro e facilitare la loro integrazione.

Per evitare una degenerazione dei rapporti tra italiani e immigrati, la Chiesa si è mossa sollecitando un miglior uso degli strumenti normativi da parte delle istituzioni. In questo senso le parole del Papa, secondo cui «occorre che le istituzioni non vengano meno alle proprie responsabilità », non sono un attacco al Governo italiano ma una sollecitazione ad agire meglio sul tema della difesa dei diritti umani e un invito a far rispettare con rigore, sia agli italiani che agli immigrati, le leggi del nostro Paese.

In quest’ottica, lo scoglio riguarda il Pacchetto sicurezza, la Legge 94 del 2009. I punti critici sono due: l’applicabilità strutturale del provvedimento e alcuni problemi di costituzionalità. Per i cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e per gli apolidi, il provvedimento governativo programma una nuova disciplina dell’acquisto della cittadinanza ma, soprattutto, introduce il reato di immigrazione clandestina, presupponendo un’ammenda penale tra i 5mila e i 10 mila euro per lo straniero che entra illegalmente nel territorio italiano.

Ennio CodiniPer assorbire nel tessuto della società gli immigrati irregolari, negli ultimi vent’anni sono state ordinate sei sanatorie. Circa 650 mila extracomunitari hanno beneficiato dell’ultima in ordine di tempo, la Bossi-Fini del 2002. Da questo conto restano esclusi colf e badanti regolarizzati con il provvedimento dello scorso anno. Ma, terminate le sanatorie, quale sarà il percorso per la regolarizzazione di un clandestino? «Solo una piccola parte dei migranti che provengono da Paesi a forte pressione migratoria sono arrivati in Italia con i barconi - sottolinea Ennio Codini, giurista e docente di Istituzioni di diritto pubblico -. Molti passano le frontiere con un visto turistico e si fermano in Italia dopo la sua scadenza. Poi c’è l’immigrato che chiede asilo politico e protezione umanitaria: in questo caso, se la richiesta viene accolta, il suo status si stabilizza. Ma, più in generale, lo status di irregolare si collega alla previsione del reato di clandestinità approvato col pacchetto sicurezza».

Oltre a una consistente multa, la Legge 94 prevede per gli irregolari un periodo di fermo nei centri di identificazione ed espulsione, seguito dal rimpatrio nella nazione d’origine. «Il problema - spiega il professor Codini - è che il sistema penale entra in difficoltà perché non è stato concepito per sviluppare tutte queste sanzioni. Gli irregolari in Italia sono 500 mila: quanto costerebbero allo Stato tutti questi processi penali? Per questo tipo di reati, sarebbe meglio adottare il sistema amministrativo, studiato con specifiche regole e competenze».

Ma al di là di considerazioni economiche e funzionali, il provvedimento ha dei buchi interpretativi. Per esempio in materia di tutela dei diritti fondamentali. «In questo senso - continua Codini - c’è una criticità che sta emergendo soprattutto in questi giorni di freddo: l’irregolare che non ha né soldi né lavoro, e di conseguenza non ha una casa. Ma in una città come Milano, a gennaio, non può certo dormire per strada perché rischierebbe di morire assiderato. Allora cerca ricovero nelle strutture del servizio pubblico, o in quelle convenzionate, per avere un tetto e un letto. Ed è qui che al direttore del centro di ricovero si trova di fronte a un interrogativo che la legge non chiarisce: fare entrare l’irregolare perché prevale il diritto fondamentale - costituzionalmente garantito - di dare assistenza, oppure subordinare la sua decisione all’applicazione del pacchetto sicurezza, secondo cui l’irregolare non può accedere ai servizi pubblici?».

Visto che per il clandestino è impossibile avere un lavoro regolare, con buone probabilità ne troverà uno pagato in nero. Lo troverà perché il mercato italiano ha un bisogno disperato di manodopera a basso costo. Lo spostamento stagionale degli immigrati nel Sud Italia è un effetto del prezzo a cui i contadini locali vendono la propria merce, un prezzo talmente basso che impone loro di cercare manodopera da pagare il meno possibile. Il risultato è che gli extracomunitari che lavorano nelle campagne italiane sono il 10 per cento del totale, una componente strutturale del sistema con più di 65 mila lavoratori nel settore. Considerando che gli italiani stanno progressivamente abbandonando la terra, viene da chiedersi se l’agricoltura davvero potrebbe fare a meno del lavoro degli extracomunitari e, più in generale, quanto pesa il lavoro degli immigrati sul Prodotto interno lordo. «Il lavoro degli immigrati - osserva il professor Cesareo – contribuisce al nostro Pil in due modi: da un lato c’è il lavoro attivo, in cui l’etnia dell’immigrato è strettamente collegata al lavoro svolto, dall’altro la tendenza all’imprenditorialità. Inoltre il lavoro stagionale e occasionale dà un contributo importante all’economia del nostro Paese».

I dati della Fondazione Ismu rivelano che in Italia un milione di immigrati, soprattutto donne, lavora nel terziario, 400mila nell’industria, 300mila nell’edilizia e 65 mila nell’agricoltura. «In particolare in Lombardia, si può dire che l’anagrafe imprenditoriale sia in attivo grazie al contributo delle piccole attività degli immigrati - sottolinea Cesareo -. Ma è la forte tendenza all’imprenditorialità degli immigrati che stupisce: due terzi delle 416 mila cariche in impresa sono ricoperte da persone provenienti da Paesi a forte pressione migratoria. Un dato triplo rispetto alla rilevazione del 2000». Sette immigrati imprenditori su dieci vivono in Italia da più di cinque anni e hanno autonomia abitativa. Il 20 per cento ha una casa e solo il 30 per cento una situazione precaria. « C’è un rapporto inversamente proporzionale tra popolazione degli extracomunitari e tasso di buona integrazione – spiega Cesareo -. In pratica, in una città italiana qualsiasi, più sono meno si integrano». Se a questo aggiungiamo il rapporto diretto tra lo status di immigrato irregolare e le devianze criminali, il risultato è ciò che abbiamo visto a Rosarno. Senza un lavoro regolare, e per questo con pochi soldi in tasca, l’immigrato cerca di tirare a campare, vive alla giornata in alloggi di fortuna e non si informa più di tanto sulle nostre leggi. La confusione che si è creata all’indomani dell’emendamento al pacchetto sicurezza - mai divenuto operativo -, che avrebbe trasformato i medici in “sceriffi”, obbligandoli a segnalare alle forze dell’ordine i malati non in regola con il permesso di soggiorno, ha creato un problema. Per ignoranza, una buona parte degli immigrati non va a farsi curare in ospedale per il timore di essere denunciato come clandestino.

A dicembre un settimanale ha quantificato nell’ordine del 20 per cento il calo degli extracomunitari che, nel secondo semestre del 2009, hanno avuto accesso alle strutture del servizio sanitario nazionale. Considerando che statisticamente i malati sono sempre gli stessi, il risultato è che un immigrato su cinque non va più a curarsi perché ha paura, facendo diventare la sua malattia un fattore di rischio per tutta la popolazione. A questo scenario presente se ne potrebbe sovrapporre uno un po’ più cupo, che riguarda l’immigrazione femminile. Le adolescenti straniere in Italia sono 175 mila e il loro inserimento nel tessuto socioculturale italiano è spesso osteggiato dai loro genitori. Se in Francia i matrimoni misti sono in crescita e rappresentano il 27 per cento del totale delle unioni (anche se la metà viene comunque celebrata all’estero), in Italia, secondo il Centro nazionale di documentazione per l’infanzia, si contano ogni anno 2 mila spose bambine figlie di immigrati. Molte fra queste sono costrette dalle famiglie a rimpatriare neo Paesi di provenienza prima del matrimonio. Le ragazze non possono scegliere, in certi casi è impedito loro di studiare o lavorare, non hanno una vita sociale con gli italiani e spesso non si integrano. In pratica, le seconde generazioni delle ragazze saranno una vera emergenza se non si interverrà con politiche più incisive.

L’integrazione è un processo a doppio senso, che parte dall’accettazione delle regole democratiche del Paese ospitante e dal rispetto dei diritti fondamentali degli individui. Vale per chi ospita e per chi è ospitato. Troppo spesso non si riflette sul fatto che, oltre al reato di clandestinità, sono gli italiani a infrangere la legge sfruttando il lavoro nero degli immigrati. Ma allora qual è la formula della buona integrazione? «Bisogna anzitutto ridiscutere in chiave europea le modalità dei flussi migratori - conclude il professor Cesareo -. Poi è necessario potenziare i rapporti bilaterali tra gli Stati e aiutare seriamente lo sviluppo dei Paesi più poveri, perché l’integrazione è un processo lungo, che richiede del tempo. L’importante è che non sia infinito».