I ragazzi, si sa, non sono più quelli di una volta. Un tempo riservato agli adolescenti, il detto assume una dimensione del tutto nuova se pensiamo a quella generazione di nati a ridosso del 2000 per la quale nuove tecnologie, web 2.0 e multimedialità sono dati di fatto e non novità. Proprio per questo motivo, sono necessarie nuove riflessioni sul rapporto che questi bambini hanno con media come tv digitale, videogiochi e computer, e che cosa orienta le loro scelte in termini di contenuti.

A questa domanda si propone di rispondere lo studio Millennial Kids, realizzato insieme al canale satellitare per ragazzi Nickelodeon, dell’Osservatorio sulla comunicazione dell’Università Cattolica (Osscom): «Volevamo conoscere meglio il pubblico dei bambini che abitano in case con una dotazione tecnologica molto ricca, per cercare di capire le loro pratiche di consumo tra televisione e tecnologie complementari», racconta il professor Piermarco Aroldi, vice-presidente dell’Osservatorio. Uno studio che ha visto i ricercatori immergersi nello spazio domestico di 70 “ragazzi digitali” tra i 4 e i 14 anni per farsi raccontare, con le loro parole e forme di espressività, il loro mondo.

La televisione continua ad avere un posto centrale, affiancata però dall’emergere di tutta una serie di nuovi strumenti che fanno la loro comparsa in fasi differenti: «Il fatto di vivere con più piattaforme – sottolinea la professoressa Nicoletta Vittadini, curatrice della ricerca – non ha espulso la televisione. Essa ha ruolo ben preciso: quello di “bussola” per orientarsi nella fruizione degli altri media». Dalla ricerca emerge, innanzitutto, come già i bambini dai 4 ai 7 anni facciano uso di dispositivi quali il Nintendo Ds, «il primo strumento che condividono con i loro amici, che usano per giocare con i loro pari» spiega Vittadini. In questa fase prevale infatti la dimensione ludica e fantasiosa dei media e i bambini consumano programmi televisivi che incoraggiano attività come cantare, disegnare e giocare, utilizzando anche il web con i genitori, ad esempio, per riascoltare le sigle dei cartoni animati su YouTube. Tra gli 8 e gli 11 anni emerge invece, nella fruizione dei contenuti, una necessità di tipo maggiormente formativo: i personaggi televisivi diventano modelli di comportamento con cui orientarsi nelle prime sfide quotidiane. La novità in questo caso è l’emergere di una dimensione autonoma soprattutto nell’uso del computer, come primo strumento a utilizzo individuale per l’individuazione dei contenuti. Infine, nella categoria dei tweens (che indica la fase preadolescenziale tra i 12 e i 14 anni), il consumo di media si amplia e si diversifica: la tv emerge ancora una volta come dominante ma questa volta per la ricerca di nuovi significati che sconfinano nel mondo degli adulti, scelti in base alla formazione delle identità di gruppo (già a quest’età, per esempio, si comincia a guardare il “Dr. House”), e il web diventa il luogo in cui costruire la propria rete grazie a social network e servizi di instant messaging. E l’elemento sociale è la vera novità: «In questa fase – aggiunge Vittadini – l’investimento sul cellulare è uno strumento di sviluppo della socialità».

Ma dove sono, in tutto questo, i genitori? Il rapporto con i contenuti e i mezzi di comunicazione dei ragazzi, infatti, passa necessariamente attraverso quella che il professor Aroldi chiama “l’economia domestica”, cioè «la gestione complessiva dell’intero parco tecnologico in base a un sistema di valori definito dalla famiglia». Ed è proprio sull’identità “mediale” delle famiglie che è concentrato il secondo ambito di analisi dello studio. Incrociando le dimensioni della dotazione tecnologica e dell’orientamento all’utilizzo degli strumenti da parte dei figli, la ricerca delinea una serie di profili di “governance tecnologica” familiare. Innanzitutto i genitori “diffidenti”: tv-centrici, sospettosi nei confronti di un utilizzo senza supervisione dei media da parte dei bambini, e che subordinano l’accesso a limitazioni di tempo e spazio ben precisi (un “giardino recintato”, per usare le parole degli studiosi). Poi ci sono gli “accomodanti”, maggiormente consci della presenza inevitabile che videogiochi, cellulari e altri strumenti multimediali hanno nella vita dei figli, e che in maniera pragmatica pongono però dei limiti a spazi, tempi e contenuti. Tra le famiglie più orientate alla condivisione si delineano invece i profili dei “coinvolti”, che non pongono limiti a un’attività ancora tv-centrica dei figli ma preferiscono guidarli verso contenuti più congeniali; infine i “fiduciosi”, che ritenendo positivo a priori il contatto con la tecnologia, cercano di valorizzare l’indipendenza dei ragazzi nell’uso dei vari media, elementi essenziali per la loro formazione.