Un momento del seminario interdisciplinare in aula Negri da Oleggio a MilanoÈ il primo esito di un percorso di ricerca interdisciplinare che ha coinvolto alcuni docenti della Cattolica. L’antefatto è un passaggio della Caritas in veritate di Benedetto XVI che affermava l’urgenza di «una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni». La conseguenza è duplice: una riflessione sviluppata e condensata nel volume La priorità del lavoro, oggi (Vita e Pensiero, 2009). Cui ha fatto seguito il seminario Sfide e prospettive dello sviluppo economico “sostenibile”, promosso dal Centro di Ateneo per la Dottrina sociale della Chiesa lo scorso 27 maggio. Secondo Ferdinando Citterio, coordinatore del progetto, e il direttore del Centro Evandro Botto, la doppia iniziativa è un invito a recuperare, all’interno della sfera economica, una dimensione di «sviluppo umano integrale» nella carità e nella verità.

Diversi i temi toccati nel seminario che si è tenuto in sala Negri da Oleggio a Milano. Luciano Venturini, ragionando Intorno alla “globalizzazione che ci rende vicini, ma non fratelli”, ha inquadrato il contesto dell’attuale dibattito intorno ai fondamenti dell’economia. Secondo Venturini, infatti, si sente oggi sempre più forte l’esigenza di una valorizzazione della responsabilità sociale d’impresa che faccia leva non semplicemente su considerazioni di natura strategica (volte a introdurla soltanto se consente di migliorare il profitto), ma anche su considerazioni di natura etica.

All’individuazione di alcuni precedenti storici di questa visione antropologica è stata dedicata la relazione di Carlo Beretta (Precondizioni e problemi della modernità nei Paesi sviluppati): tali precedenti si possono individuare nel cambiamento che si verificò in Europa con il passaggio dal Medioevo all’Età moderna, quando il modello basato sulla proprietà feudale cedette il passo – con la rinascita della vita urbana, con l’abolizione della proprietà ecclesiastica e con la privatizzazione delle proprietà comuni – al concetto di proprietà individuale, a cui anche noi oggi siamo abituati.

È un passaggio non secondario, perché veicola l’idea che l’economia possa avere il suo più importante fondamento negli interessi individuali e privati dell’uomo. Però, come ha messo in luce Carlo Dell’Aringa, intervenendo su Sviluppo, famiglia, invecchiamento e immigrazione, una tale visione, al centro per esempio della proposta di controllo delle nascite per combattere la povertà teorizzata, sul finire del Settecento, da Robert Malthus, non ha evitato, anzi ha contribuito ad aggravare, il problema, oggi attualissimo, del progressivo invecchiamento della popolazione e della diminuzione della popolazione lavorativa.

Giovanni Marseguerra e Matteo Pedrini si sono invece concentrati sul tema Tra imprese profit e non-profit: un’ibridazione dei comportamenti per la civilizzazione dell’economia. Idea che oggi comincia a concretizzarsi, anche sulla base della crisi del modello dell’homo oeconomicus come unico paradigma di spiegazione dell’attività economica, attraverso una valorizzazione del valore sociale e del valore economico. Gli esempi di questa ibridazione tra imprese profit e imprese non-profit non mancano, sotto forma di donazione di denaro, di condivisione di risorse, di finanziamento di iniziative.

Emerge insomma un modello alternativo di sviluppo economico che, se da un lato è apprezzabile per il suo porsi come superamento del riduzionismo tipico della visione neoclassica smithiana incentrata esclusivamente attorno al profitto, dall’altro lato rischia di ricadere nello stesso errore che vuole criticare, come è emerso dalle relazioni di Roberto Zoboli ed Erminio Trevisi, dedicate rispettivamente a: Sviluppo e ambiente: il ruolo dell’uomo e il valore degli investimenti e ad Agricoltura, sviluppo e sicurezza alimentare. Zoboli ha messo in luce come sia oggi sempre più evidente il problema della povertà energetica e del divario nella destinazione delle risorse, e come anche la forte crescita di una domanda verde di massa (la cosiddetta “green economy”) possa nascondere rischi. Partendo dal n. 307 del Catechismo della Chiesa Cattolica, che sottolinea come per il cristiano il creato non sia intoccabile, Trevisi ha invece individuato i limiti della cosiddetta agricoltura sostenibile proprio nella pretesa “intoccabilità”, che, se dovesse realizzarsi, comprometterebbe la possibilità stessa di sfamare l’intera popolazione mondiale.

Del resto, il confine tra ciò che umano e ciò che non lo è, in ambito economico, non sempre coincide con le tradizionali contrapposizioni. La relazione a due voci di Mario Molteni e Antonio Masi, su La promozione della social entrepreneurship nei Pvs ha mostrato che esistono modelli innovativi di business che, pur essendo profit, si basano sulla lotta alla povertà, sulla necessità di uno sviluppo umano integrale e riescono a raggiungere questi obiettivi applicando la sussidiarietà.

Soltanto il fondarsi o il non fondarsi sull’etica è un criterio valido per distinguere tra sviluppo umano e sviluppo non umano, come è emerso dal contributo affidato a Lorenzo CaprioSimona Beretta: Per una finanza amica della persona. Sviluppo locale e globale. Sia dietro alla crisi dei mutui americani, sia dietro alla più recente crisi greca può essere infatti individuato, secondo Caprio, un deficit etico consistente, nel primo caso, in una demagogia che ha portato a concedere mutui anche a chi non sarebbe stato in grado di rimborsarli e, nel secondo caso, a distribuire biglietti di banca ai poveri in modo indiscriminato. D’altra parte bisogna considerare, ha sottolineato Beretta, che anche la finanza globale non è riuscita a incrementare la crescita produttiva (e quindi non è riuscita a essere “amica della persona”), perché i flussi di risparmio oggi confluiscono sempre o dai Paesi poveri ai Paesi ricchi oppure dai ricchi ai poveri, ma attraverso le rimesse degli emigrati nei Paesi ricchi. Facendo a meno dell’etica, però, la finanza abdica anche alla sua stessa natura, consistente, come sostiene la Caritas in veritate, nell’essere un patto, e, come tale, un oggetto relazionale che richiede fiducia.